Questi due qui

sabato 25 Marzo 2017

Io, che sono nato a Parma, in Emilia, e abito a Bologna, in Emilia, il giorno prima del giorno in cui scrivo questa nota sono andato a presentare un libro a Morciano di Romagna, in provincia di Rimini, e la prima cosa che ho detto, nella presentazione, ho detto che ero contento di essere in Romagna e che, appena avevo visto intorno a me la Romagna, mi era venuto in mente quando anni prima, a Roma, un tecnico della Rai con il quale avevo parlato di un libro che si chiama La banda del formaggio, quando aveva sentito che il protagonista era di Parma, e che anch’io ero di Parma, alla fine, prima di salutarci, mi aveva detto che lui c’era stato, dalle mie parti, in Romagna, e che si stava bene, e io, quella volta lì, a Morciano di Romagna, avevo detto che noi, emiliani e romagnoli, da lontano sembriamo uguali invece siamo diversi, secondo me.
Figuriamoci quanto sono diversi emiliani e sardi.
Da qualche anno sto facendo, in diverse città d’Italia, il repertorio dei matti di quelle città, che è un lavoro che ha comportato la scoperta, del tutto imprevista, del fatto che il modo di essere matti a Torino, per dire, è molto diverso dal modo di essere matti a Parma, per dire.
A Torino, i matti di Torino si comportano quasi tutti come se fossero in interni anche quando sono in esterni, e il matto più torinese di tutti, tra quelli che sono andati a finire nel libro, a me sembra sia questo qua:
«Uno telefonava ai vicini per dire che dalla sua finestra vedeva  un quadro storto e  per favore di drizzarlo, se no non riusciva a dormire».
Il matto più parmigiano tra i matti di Parma, invece, secondo me è questo qua:
«Uno era un direttore d’orchestra, nato vicino al parco ducale. Era uno che, per dire, quando venne nominato senatore a vita rispose al presidente della repubblica con un telegramma con scritto “no, grazie”. Raggiunta la fama, si era trasferito in America, e i teatri facevano a gara per averlo; i musicisti un po’ meno, dato che era solito rivolgersi loro dicendo: “Look at me, teste di cazzo”».
Che ha quella cattiveria così parmigiana che a me piace tanto.
Il matto più andriese dei matti di Andria, secondo un sondaggio fatti dai redattori del Repertorio, è questo qua:
«Una volta stavano restaurando il Palazzo Ducale e uno, approfittando delle impalcature montate, decise di rubare qualcosa di prezioso. Rubò un balcone».
E a Livorno, per dire, i matti di Livorno secondo me sono un po’ il contrario dei matti di Torino, si comportano sempre come se fossero in esterni anche se sono in interni, e il matto più livornese dei matti di Livorno, per me, è questo qua:
«C’era uno che quando ascoltava la radio diceva: “Ma queste cantanti di oggi: Emma Marrone, Malika Ayane, Alessandra Amoroso. Ma quanto c’avranno, vent’anni? E stanno sempre lì a cantare di depressione, oddio mi hai lasciato, mi voglio ammazzare, senza di te come farò. Io Boia! Dovrebbero parlare di trombare, come mi va di chiavare, mi devi pipare ancora di più. Ecco di che dovrebbe cantare una che c’ha vent’anni. Sanno una sega loro della vita di merda, sanno”».
Che c’è quella cattiveria, lì, livornese, così bella e così cattiva.
E poi vengono i matti di Cagliari, e con loro i problemi.
Perché a me, come devo avere anche già detto, i sardi piacciono molto, e una cosa che mi piace molto, dei sardi, è che sono quasi più permalosi di me, allora conoscendomi, e sapendo come son permaloso, io dire qualcosa, dei sardi, non è semplicissimo, però visto che me l’han chiesto, e visto che io ho accettato, bisogna provare.
Allora io, che non sono uno che se ne intende neanche tantissimo, mi rendo conto, ma i matti più sardi tra i matti che ci sono nel repertorio dei matti della città di Cagliari a me sembrano questi due qui:
«C’erano due, marito e moglie. Non avevano figli e non avevano amici. Passavano la settimana a lavorare, ma la domenica mattina indossavano il vestito bello, mettevano musica degli anni Quaranta sul giradischi e ballavano insieme nel salotto di casa».

[Uscito sul numero di febbraio marzo di Sardinia post magazine]