Qualcosa

domenica 21 Gennaio 2018

Allora forse tra qualche mese, in settembre, dovrebbe uscire il numero 3 di Qualcosa e siamo moderatamente contenti, noi sapodisti, che siam quelli che lo fanno,
Dopo, però, bisognerà lavorare anche ai numeri successivi e dopo il numero 3 noi pensavamo di fare uscire il numero 7, ma così, per fare un po’ i furbi, e nel numero 7 ci piacerebbe che trovassero posto delle cose che si comincia da lontano. Si comincia da un libro di Viktor Erofeev che si chiama Il buon Stalin che parla del babbo, di Erofeev, che era ambasciatore sovietico in Francia, e lì a un certo punto Erofeev dice che ci son due persone che noi conosciamo senza averle mai incontrate, il babbo e la mamma, e, in certe scuole che facciamo delle volte c’è un compito difficilissimo che dice Descrivete vostro babbo, o vostra mamma, e una volta Elvira Antinozzi ha risposto con un pezzetto che è si intitola Montenegro che fa così:

Se potessi andare a scavare in quel buco. Ci andrei. Per cavarla fuori di lì, anche solo per un po’, perché io sono una giuggiolona grande ma di mamma ne ho ancora una gran voglia. Se io potessi!
Anche se, da viva, dirla tutta, era un po’ mattarulla.
Era del ‘41 e, come dire, era un po’ all’antica. Portava il mezzo tacco.
E aveva delle strane convinzioni.
Per esempio sosteneva che è meglio ed è più bello perdere e quindi se giocavi, fai conto, a tombola, non potevi mai dire cinquina, decina o tanto meno tombola, perché era giusto lasciarla fare a qualche altro bambino.
E cose così. Tra l’altro era molto molto spartana, ricordo solo un pochino di rossetto albicocca e il profumo Yves San Loren che le aveva regalato il babbo.
Il suo motto era: bisogna soffrire.
Per questo quando io e mia sorella siamo diventate ‘ragazze’, abbiamo cioè cominciato ad avere il ciclo mestruale, lei era contraria a qualsiasi tipo di antidolorifico. Al massimo un’aspirina.
Diceva che dovevamo resistere, al dolore, che le medicine facevano male e davano assuefazione.
Solo che io stavo veramente malissimo, e una volta sono anche svenuta per strada, a ritorno da scuola e ho ancora in mente mio babbo che l’han chiamato, era a lavorare, è arrivato e mi ha caricato in spalla come un super eroe.
Insomma, lei però non voleva nemmeno che stessimo troppo male e allora aveva detto che quando avevamo il mal di pancia per il ciclo potevamo bere un po’ di liquore perché – secondo lei – l’alcol dilatava i capillari e così, il sangue, defluiva più facilmente e il dolore si sarebbe alleviato.
Per me aveva predisposto proprio una fiaschetta, una di quelle bottigline infrangibili con la chiusura ermetica.
La riempiva con l’amaro Montenegro e me la metteva in cartella. E diceva: se stai male vai in bagno e fai due sorsi, vedrai che poi ti senti meglio.
E io allora, appena cominciavo a star male, andavo in bagno, facevo due sorsi, ma stavo peggio di prima e dopo mi girava anche un po’ la testa.
E una volta son tornata in classe, primo superiore, che era anche un periodo che il mio compagno di banco un po’ mi piaceva, si chiamava Cristian Gallo (che l’ho già scritto nell’altro compito della brutta figura, mi prendeva sempre in giro, mi diceva nell’orecchio: ciao bella mora lo so che ti fai suora) e a un certo punto mi si è rovesciata la cartella con tutto il contenuto, e – passi pure uno di quegli assorbenti antidiluviani alto 4 centimetri – ma, ahimè, tutti han visto che io andavo in giro con una fiaschetta di liquore in borsa. Mi son vergognata tantissimo e ho provato a spiegare la cosa ma peggioravo la situazione.
Il mese dopo ho rubato a mia mamma i soldi e mi son comparata il primo moment.

E ci piacerebbe che il numero 7 fosse tutto fatto di cose del genere (ma questa no, perché questa andrà nel numero 3). Ecco. Buongiorno.