Pestare l’acqua nel mortaio

venerdì 23 Febbraio 2018

Mi hanno chiesto, dalla Verità, di fare una serie di ritratti dei politici e io ho pensato che, vicino alle elezioni, sarebbe stata una bella occasione. C’è una domanda che credo abbiano fatto, per lo meno una volta, a tutti quelli che scrivon dei libri: “Perché scrivi?”.
Che è una domanda che, se tu scrivi dei libri, e uno che ha letto un tuo libro ti chiede “Perché scrivi?”, non è una cosa che suona come una lode, è come se volesse dire “Perché non ti dedichi a qualcos’altro, che magari ti viene poi meglio?”.
Però sta di fatto che questa domanda la fanno, e una volta l’han fatta a Luigi Malerba, e lui ha risposto “Per capire quello che penso”, che credo sia una cosa che succede, a quelli che scrivono, e allora, forse, con questi pezzetti c’è il caso che io riesca a mettere un po’ di ordine nella mia testa, nel settore politici o partiti politici, o quel che ne è rimasto.
Nel 1943 Simon Weil ha scritto: “Quasi ovunque, e spesso anche per questioni squisitamente tecniche, il fatto di prendere partito, di prendere posizione pro o contro, ha sostituito il fatto di pensare.
È una peste che si è originata nel contesto politico e si è diffusa a tutto il paese, alla quasi totalità del pensiero”. Per l’abolizione dei partiti politici, si intitolava quello scritto di Simon Weil, e da allora, in Italia, di partiti politici ne sono nati tantissimi, molti anche recentemente; a Bologna, per esempio, alle prossime elezioni si presenteranno rappresentanti dei partiti: Civica Popolare Lorenzin, Noi con l’Italia, ALA, potere al popolo!, Liberi e uguali con Pietro Grasso, Italia Europa Insieme, + Europa con Emma Bonino, Destre Unite Forconi, per una sinistra rivoluzionaria che son tutti partiti che, tre anni fa, io non avevo mai sentito nominare; allora, forse, val la pena di provare a capire quel che ne penso, perché io, davvero, non capisco.
Nel 2013, qualche mese dopo le ultime elezioni che ci sono state prima di quelle che ci saranno adesso, Pippo Civati mi ha inviato a Roma a fare delle domande a lui, a Giulio Cavalli, a Adriano Zaccagnini, a Mirko Tutino, a Paola Natalicchio e a Giovanni Tizian, che sono tutti dei politici di sinistra, e io mi ricordo che avevo citato la cosa alla quale penso più spesso, quando penso alla politica, che è una cosa dello scrittore americano Kurt Vonnegut che una volta ha scritto: «C’è un tragico difetto nella nostra preziosa Costituzione, e non so come vi si possa rimediare. È questo: solo gli scoppiati vogliono candidarsi alla presidenza. E era così già alle superiori. Solo gli alunni più palesemente disturbati si proponevano per fare i rappresentanti di classe», ha scritto Vonnegut, e io, quella volta, avevo detto che, secondo me, uno che le cose si propone di cambiarle dall’alto della sua infallibilità, o della sua superiorità morale, io non so, se è la strada giusta.
La strada, avevo detto, a me sembra l’abbia indicata Kurt Vonegut, quando ha incontrato Joe. “Joe, – ha scritto un’altra volta Kurt Vonnegut, – un giovane di Pittsburgh, un giorno mi si è presentato con una semplice richiesta: «Per favore, mi dica che prima o poi finirà tutto bene».
«Benvenuto sulla Terra, giovanotto», gli ho risposto io – ha detto Vonnegut –. «Qui fa un caldo boia d’estate e un freddo cane d’inverno. È un pianeta rotondo, umido e affollato. Bene che vada, Joe, tu hai un centinaio di anni da vivere da queste parti. E di regole io ne conosco una sola: Cazzo, Joe, bisogna essere buoni!»”.

Essere buoni. Che è un discorso, se non lo facesse Kurt Vonnegut sarebbe imbarazzante, quelle cose lì di quando sei piccolo, essere buoni, c’è da avere vergogna, avevo detto a Roma ai politici di sinistra, ma l’impressione che ho io, avevo detto, non ne capisco tanto, ma mi avete invitato, portate pazienza, l’impressione che ho io è che molta parte del discorso politico di questi ultimi trent’anni sia consistito, da qualsiasi parte venisse, in un discorso sui nemici, sull’elevare i propri nemici al rango di supereroi negativi, per così dire; onnipotenti che frenano il progresso per i propri interessi e perché sono cattivi e che hanno la colpa del fatto che le cose van male. 
A me, avevo detto, piacciono i russi, e capisco Ivan Turgenev quando dice: «L’uomo russo è buono soprattutto per il fatto di avere di se stesso una pessima opinione», e io, in una cosa del genere, mi ci trovo, e per uno che è soddisfatto di sé ho un’istintiva diffidenza, mentre per uno che ha, di sé, una pessima opinione, ho un istintivo rispetto. Allora, avevo chiesto a quei politici, perché non cominciate dai vostri difetti, perché non ci raccontate quello che non va, in voi, non come siete bravi, ma come siete scarsi? Non come sono scarsi i vostri rivali, come siete scarsi voi. Perché non ci raccontate quello in cui non vi piacete? Allora forse fareste dei discorsi che io sarei contento di sentire, avevo detto, più o meno, poi avevano preso la parola loro e una di loro, Paola Natalicchio, aveva detto che il segreto era non allearsi con l’UDC. E io, mi ricordo, mi ero alzato ero andato a letto. Quindi niente. Si comincia domani con Maria Elena Boschi.

[Uscito ieri sulla Verità]