Onegin

sabato 22 Novembre 2008

Chiedeva Claudia nei commenti al post Puškin se la traduzione di Lo Gatto dell’Onegin è meglio di quella di Giudici. Io ho risposto che a me piace molto di più. Poi ho pensato che quel che piace e quel che non piace a qualcuno è una cosa che, non so come dire, non è che valga molto.
Allora ho pensato di registrare in un file audio l’originale della prima strofa del primo capitolo, che, letta da me, quindi magari con qualche errore d’accento o di intonazione, è questa: onegin
E poi ho pensato che avrei messo qua sotto le versioni di Lo Gatto, di Giudici (grazie Claudia), e, intanto che c’ero, anche la versione in prosa di Bazzarelli:

Di principi onestissimi, mio zio,
or che giace ammalato per davvero,
fa sì che lo rispetti infine anch’io;
e non poteva aver miglior pensiero;
esempio agli altri ed ammaestramento:
ma quale noia, o Dio, quale tormento
ad un infermo muoversi d’intorno,
senza mai allontanarsi, e notte e giorno!
Oh, quale ipocrisia, quale meschina
perfidia divertire un moribondo,
aggiustare i guanciali a un gemebondo,
con faccia triste dar la medicina,
sospirare e pensar fra sé: che guai!
quando all’inferno dunque te n’andrai?
(Lo Gatto, 1937)

Mio zio così preciso e retto,
Or che sul serio s’è ammalato,
Si è fatto portare rispetto
E proprio il meglio ha escogitato!
Il suo esempio sia di lezione:
Ma, Dio mio, quale afflizione
Notte e dì un malato vegliare
Mai un passo potendo fare!
E quale perfidia meschina
Già mezzomorto vezzeggiarlo,
Sui cuscini accomodarlo,
Dargli mesto la medicina,
Sospirando e pensando fra te.
Ti porti il diavolo con sé!”
(Giudici, 1975)

Mio zio, uomo dei più onesti principii, quando non per celia si ammalò, seppe farsi rispettare, e non poteva avere una migliore idea. Il suo esempio è insegnamento per gli altri; ma, Dio mio, che noia starsene giorno e notte con un malato, senza allontanarsi neppur d’un passo! E che bassa perfidia far divertire uno che è mezzo morto, rassettargli i guanciali, porgergli la medicina con volto triste, sospirare e pensare fra sé: ma il diavolo quando ti porterà via?
(Bazzarelli, 1960)