Nugoli e nugoli e nugoli

sabato 2 Dicembre 2017

C’è un libro russo che è stato scritto nel 1970 e è stato pubblicato, in Russia, nel 1989 (sulla rivista Sobrietà e cultura) e, ancora prima che fosse pubblicato, era un dei libri più importanti del secondo novecento; grazie al fenomeno del samizdat, la circolazione di copie dattiloscritte, non ufficiali, e grazie alla singolarità del romanzo, come scrive Evgenij Popov, in Russia «lo conoscevano tutti quelli che avevano un rapporto, per quanto minimo, con la letteratura o, nella peggiore delle ipotesi, con la vodka», e in Russia quelli che hanno un rapporto con la letteratura sono molti, e quelli che hanno un rapporto con la vodka moltissimi (voi siete milioni, noi siamo nugoli e nugoli e nugoli, direbbe Aleksandr Blok, poeta simbolista).
Il libro si intitola Mosca – Petuški, è un romanzo, ma ha come sottotitolo «poema» (come le Anime morte di Gogol’). Il protagonista si chiava Venička e, nella prima pagina, beve un bicchiere di vodka del Bisonte, uno di vodka al coriandolo, due boccali di birra Žiguli e, a collo, dell’Albe-de-dessert, che era un vino bianco moldavo che sembra che fosse uno dei vini più economici che si potevano trovare alla fine degli anni ’60 in Unione Sovietica, e informa i lettori che un suo conoscente diceva che la vodka al coriandolo agisce sull’uomo in senso antiumano, cioè rinvigorisce le membra e indebolisce l’anima. A lui invece succede il contrario, vale a dire che l’anima si rafforza al massimo grado, e le membra si indeboliscono, ma è d’accordo sul fatto che si tratta di una cosa antiumana. È uno, questo protagonista, che abita a Mosca e vuol sempre andare al Cremlino, e non ci riesce mai, mai una volta che sia andato davvero al Cremlino, finisce sempre alla stazione di Kursk, da dove prende un treno per Petuški. Ed è un treno, questo per Petuški, dove il biglietto costa un grammo di vodka al chilometro, e i controllori vanno in giro con i bicchieri e se li fanno riempire dai passeggeri, e se un passeggero ha il biglietto vero e proprio gli altri passeggeri lo guardan malissimo.
E Venička parla con gli angeli e suggerisce preziose ricette di strani cocktail (come la «Lacrima della giovante comunista»: «Lavanda 15 g., Verbena 15 g., Eau de Cologne “Acqua di bosco” 30 g., Lacca per le unghie 2 g., Elisir odontologico 150 g., Limonata 150 g. ) e racconta dei suoi viaggi tra cui un viaggio in Italia, dove si ferma in una branda a casa del compagno Longo, segretario del Partito Comunista Italiano, e quando gli chiedono com’è l’Italia e come sono gli italiani, lui risponde che gli italiani, se tu vai in una strada italiana, la gente, cantano e dipingono, e basta. «Uno, per dire, – c’è scritto, – sta in piedi e canta. E un altro, lì vicino, sta seduto e fa il ritratto a quello che canta. E un terzo, a una certa distanza, canta di quello che fa il ritratto a quello che canta. Ti vien su una tristezza». Questo per quel che riguarda il personaggio. L’autore, invece, io conosco uno che ha fatto una tesi sulla vodka nella letteratura russa, e nella sua tesi ha scritto che una volta c’era una amica di Venedikt Erofeev che lo doveva ospitare, e prima che arrivasse aveva pensato «Aspetta che nascondo i profumi», che aveva paura che Erofeev le bevesse i profumi: in Russia, soprattutto dopo che Gorbačëv aveva cominciato una campagna contro l’alcolismo che aveva portato alla nascita di alcune strane riviste, come Sobrietà e cultura, e aveva reso più difficile trovare da bere, succedeva che la gente si accontentasse dell’eau de Cologne o dei profumi in genere, o di certi insetticidi che, spruzzati nelle bibite, avevano un qualche potere ubriacante.
C’era anche una canzone, di un gruppo russo che si chiama Nautilus Pompilius, che si chiamava Uno sguardo dallo schermo e che parlava di Alain Delon e il cui ritornello diceva «Alain Delon, Alain Delon, non beve eau de cologne; Alain Delon, Alain Delon, beve dei gran bourbon; Alain Delon, lui parla in francese). Poi s’era scordata, l’amica di Erofeev, di nascondere i profumi, Erofeev era arrivato, lei era andata a lavorare, era tornata, era andata a guardare in bagno, non c’erano più i profumi.
Allora aveva cacciato di casa Erofeev. «Mi ricorderò sempre il modo in cui mi guardava, – ha scritto anni dopo questa signora, – è uscito di casa guardandomi senza dir niente, ascoltava i miei insulti in assoluto silenzio con un’espressione beata e pacifica che mi faceva arrabbiare ancora di più».
Dopo era arrivato il marito, di questa signora, «Dov’è Erofeev?» le aveva chiesto. «Dev’essere andato dalla Gončarova». «Ma non doveva venire da noi?». «È venuto, ma poi mi ha bevuto i profumi l’ho cacciato di casa». «Ti ha bevuto i profumi? – le aveva chiesto il marito, – E come ha fatto, che li ho nascosti io li ho messi in cantina?». Allora quella signora, aveva scritto quel mio conoscente nella sua tesi, aveva chiamato Erofeev dalla Gončarova, «Mi devi scusare», gli aveva detto. «Scusare di cosa?». «Che ti ho cacciato via perché pensavo che avevi bevuto i profumi». «Ma figurati, – le aveva detto Erofeev, – mi ero già dimenticato». «Anche te però, – aveva detto la signora, – non dicevi niente». «Eh, – aveva detto Erofeev, – mi dispiaceva per te, pensavo a come ci saresti rimasta quando ti saresti accorta che non ero stato io».
Erofeev a me sembra un grande scrittore di frasi: «Voglio essere la più insaponata di tutte le bolle»; «In questo mondo di gente onestissima, cosa ci faccio io, che mi piace raccontare delle balle?»; «Impara ad affliggerti, che di godersela anche i coglioni son capaci»; «Sto facendo tanti di quei progressi che sembro un villaggio del Kazakistan»; «Le persone più insopportabili sono quelle per le quali tutto si spiega da sé. Cos’è questo tutto? E cos’è da sé? E cosa si spiega?»; «A me, quest’anno, succedono delle cose che alla gente normale succedono solo negli anni bisestili»; «Hai le mani che puzzano di piedi, ma è lo stesso»; «Sono così sconsolatamente felice, in mezzo a questi sofferenti bon vivants»: «E perché mai dovrei essere gradevole? Anche nella nuova Costituzione non c’è questo articolo: essere gradevoli»; «Non dimenticare la cosa più importante, la commozione»; «Dal Pentagono al Cremlino, dal cielo alla terra, dalla testa ai piedi, è cambiato tutto». «Ci sono lingue nelle quali non esistono parole e espressioni offensive, e neanche indecenti. Per i malesi, per esempio, l’offesa e l’ingiuria più grande è: “Non hai vergogna?”».
Ma soprattutto, Erofeev ha scritto un romanzo che fa molto ridere ma che, alla fine, quando l’ho letto ad alta voce, in una libreria di Bologna, qualche anno fa, alla fine nessuno di noi che eravamo lì, saremo stati una ventina, aveva il coraggio di parlare, che ci sembrava che saremmo scoppiati a piangere qualsiasi cosa avessimo detto.

[Uscito ieri sulla Verità]