Leggere e guardare

sabato 15 Settembre 2018

Mi hanno detto che i social network che uso io, che sono Facebook e Twitter, sono, soprattutto Facebook, dei social network da vecchi.
Mia figlia, che ha quasi 14 anni, e i suoi compagni di classe, che hanno 14 anni anche loro, non hanno un profilo di Facebook e non hanno nessuna intenzione di aprirlo. Che è un po’ un peccato, per Facebook. Che è nato nel 2004 e, per una manciata di anni, è stata una cosa molto moderna. Adesso non più. E, tra dieci anni, o poco più, in Italia lo useranno solo gli over cinquanta.
Ci sono, quelle mode che duran pochissimo. Come la moda dei paninari. O la moda degli orologi con le fasi lunari. O la moda delle giacche con le spalline. Negli anni ottanta eran delle cose da giovani, da gente che sapeva stare al mondo, che era informata di tutto, adesso sembrano un po’ ridicole, come ridicoli, agli occhi dei giovani di oggi, devono probabilmente sembrare quelli che hanno un profilo di Facebook, tra i quali anch’io, c’è da dire.
C’è però anche da dire che io non ho solo un profilo di Twitter e di Facebook, ne ho anche uno di Instagram, che invece mi dicono che sia un social network che quello sì, che oggi è di moda e che promette di restarlo per tutto il 2019, forse, perfino.
Non l’ho mai usato, il mio profilo di Instagram, cioè l’ho usato solo per andare a vedere i profili di altri, ma di pochi, seguo pochissima gente, su Instagram: Gervinho, che è un giocatore del Parma, che è la squadra per cui tengo; Alicia Piazza, che era la vicepresidente della Reggiana, che era la squadra antagonista di quella per cui tengo (adesso è fallita, si chiama in un altro modo, Audace, o qualcosa del genere, e Alicia Piazza non è più vicepresidente); Pierluigi Bersani, Maria Elena Boschi e Corrado Passera.
Maria Elena Boschi e Corrado Passera li seguo perché mi piacciono i fallimenti (politici, non personali, non li conosco e magari loro, come persone, stanno benissimo), Bersani è quello che seguo da più tempo e proprio per seguire Bersani, nel 2012, devo avere aperto il mio profilo di Instagram, se non ricordo male.
Perché c’era appena stato il terremoto, in Emilia, e Bersani aveva postato una foto, Instagram è il social che la gente, soprattutto, ci mette delle foto, Bersani aveva postato una foto che c’era una strada di Mirandola piena di mattoni. Sembrava un fiume di mattoni, come uno tzunami di mattoni, un’ondata di mattoni che aveva distrutto tutto quello che aveva trovato sulla sua strada, faceva impressione, faceva paura, e immaginarti che quella cosa era una cosa vera e vicinissima a casa tua, io quella foto l’avevo guardata dalla mia casa di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, era doloroso, perfino.
E, anche per questo, la scritta che c’era sotto quella foto suonava in un modo stranissimo. C’era scritto: «pbersani sta usando Instagram – un modo divertente ed alternativo per condividere la tua vita con i tuoi amici attraverso una serie di immagini. Scatta una foto e scegli un filtro per trasformare lo scatto in un ricordo che rimane per sempre».
Che Bersani, dite quel che volete, ma secondo non è mai stato capace, di maneggiar la modernità, chissà come si vestiva negli anni ottanta, mi vien da pensare. Il suo profilo, tra l’altro è in disuso, l’ultimo post è del 2013, cinque anni fa.
Ma, a parte Bersani, che è anche lui un po’ passato di moda, forse, a parte Bersani mi viene da chiedermi come mai Instagram è più moderno, di Facebook e di Twitter.
Forse c’entra il fatto che Instagram è un social prevalentemente di immagini. Puoi postare anche un testo, ma quello che domina, lì, sono le immagini, le foto, come quella di Bersani.
Mi viene in mente un convegno a cui son stato invitato, sabato e domenica, a Gressoney, convegno che si intitola Visto si stampi e il cui tema è «Guardare is the new leggere», dove credo si ragionerà sul fatto, che è vecchio anche lui di cent’anni (lo diceva un poeta russo straordinario che si chiama Velimir Chlebnikov) che l’immagine ha vinto, che è più potente, del testo.
Ecco, io, devo dire, non lo so, se sono d’accordo.
E non so se sono d’accordo perché nella mia esperienza, semplicemente, non è vero.
Il primo libro da grandi che ho letto, il primo libro senza figure, sono passati più di quarant’anni e io, di quel momento lì che ho scoperto i libri da grandi, quante cose ci possono essere dentro un libro senza figure, mi ricordo tutto: mi ricordo dov’ero, sotto il portico di casa nostra in campagna, mi ricordo mia nonna che cantava in cucina, mi ricordo che passava mio babbo con dei secchi di calce, mi ricordo la sedia arancione su cui ero seduto, mi ricordo la polvere che c’era nell’aria, mi ricordo la sensazione stranissima dovuta al fatto che io, incantato dal libro, non ero per questo incanto estraniato dal mondo ero dentro, nel mondo: leggere produceva un effetto stranissimo, faceva diventare il mondo più mondo.
E questa sensazione di esser nel mondo (più mondo) l’ho poi riprovata ogni volta che ho riconosciuto la letteratura: Delitto e castigo, di Dostoevskij, sdraiato nel letto della mia stanzetta minuscola di Basilicanova, mi sembra di vedere ancora il copriletto, le Poesie di Chlebnikov, da in piedi, appoggiato allo scaffale dei russi della Biblioteca Guanda di Parma, e potrei quasi descriver le facce di chi stava studiando, il primo libro che ho letto per intero in russo, Romanzo teatrale, di Michail Bulgakov, sulla metropolitana di Mosca nel 1993, che ero così contento, che finalmente leggevo un libro in russo che mi chiedevo “Come andrà a finire?”, e mi ricordo, perfettamente, come ho alzato la testa, in quella metropolitana, quando mi sono accorto che era un libro incompiuto, e mi sembrava che, in quel vagone verde e marrone, tutti i passeggeri mi guardassero scuotendo la testa e pensando “Che deficiente”.
A ciascuno di questi libri, e a tanti altri, io devo, dentro di me, un’immagine potentissima, e la potenza di queste immagini che sono lì, nella memoria della mia pancia, è dovuta a un testo, non a una figura; i testi, quando ci prendono, sono produttori di immagini che, credo, resisteranno anche a Instagram, ben oltre il 2019, secondo me.
Come il cielo della Russia; a me piace molto andare in Russia, e il cielo della Russia io ho cominciato a vederlo quando ho letto una poesia di Chlebnikov che dice: «Poco, mi serve. / Una crosta di pane, / Un ditale di latte, / E questo cielo / E queste nuvole». Senza questa poesia io vedrei molto meno, quando sono là.

[uscito ieri sulla Verità]