Le parole giuste

mercoledì 7 Dicembre 2016

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Dyk aveva l’abitudine di pronunciare sentenze che provenivano dalla sua zucca, abbellendole con fonti inventate, di solito bibliche. Aveva già da tempo compreso che, in Cechia, la ripetizione di qualcosa già detto da altri viene considerata la più alta manifestazione di intelligenza. Un tempo, all’epoca in cui raccoglieva coleotteri nei parchi, si assumeva la paternità delle sue sentenze («come dico sempre…»), ma non aveva mai suscitato altra reazione che sorrisi imbarazzati. Un giorno gli era venuto in mente di aggiungere «Libro di Rut, 4,6» – ed ecco che tutti gli sguardi attorno si erano illuminati, quelli delle donne di ammirazione, quelli degli uomini di invidia. Da allora aveva sempre fatto così. «La notte è l’annuncio dell’alba. Levitico, 2,10» diceva alzandosi dalla sedia e prendendo commiato da una serata. «Scava nella sabbia, troverai te stesso, Ecclesiaste, 17, 5» esortava una collega di lavoro che un giorno o l’altro contava di scoparsi. «Il padre tuona ad alta voce, ma, ahimè, il figlio non lo sente. Gilgamesh, canto terzo», consolava un vicino che si era lamentato del figlio adolescente.
Nemmeno stavolta aveva mancato l’effetto voluto. La signora Prochazka emise uno sbuffo di gioia e gettò a Dyk un’occhiata ammirata.
«Ah, lei!» commentò. «Lei sì che sa sempre trovare le parole giuste».

[Patrik Ourednik, Caso irrisolto, traduzione di Alessandro Catalano, Rovereto, Keller 2016, pp. 13-14]