L’angoscia

sabato 16 Aprile 2016

L’altro giorno mi sono svegliato e non mi volevo alzare da letto. «Dài, alzati, – mi sono detto, – che hai un sacco di cose da fare». «No, – mi sono risposto, – non mi alzo». «Dài, – mi sono detto, – hai cinquantadue anni, non sei mica più un bambino, alzati, che devi andare a correre e poi devi lavorare». «No, – mi sono risposto, – ho cinquantadue anni ma sono ancora un bambino non mi alzo».
E dopo alla fine è andata finire che sono rimasto a letto mi sono alzato un’ora dopo, nonostante tutte le cose che avevo da fare.
Sono rimasto a letto a leggere un’ora ma non me la sono goduta tanto, la lettura.
Stavo leggendo un libro di Umberto Eco che si intitola Come viaggiare con un salmone, che è il primo libro della Collana I delfini della nuova casa editrice di Elisabetta Sgarbi La nave di Teseo, e è una raccolta di articoli di Eco come quello intitolato Come non usare il fax che comincia così: «Il telefax è veramente una grande invenzione. Per chi non lo sapesse ancora, ci mettete dentro una lettera, fate il numero del vostro corrispondente, e in pochi secondi colui la riceve».
Che è una frase dove ci sono per lo meno due cose interessanti in una frase sola, la presentazione del fax (o, meglio, del telefax) come una novità, che mi ricorda il titolo di un romanzo di qualche anno fa di Sebastiano Vassalli, Archeologia del presente, e quel pronome, «colui», che nessuno probabilmente oggi userebbe più, in una prosa giornalistica; una lettura molto interessante, questo libro di Umberto Eco, solo che non ho provato, l’altro giorno, a leggere questo articolo sul fax e gli altri articoli di Umberto Eco che ho letto l’altro giorno al mattino, nessun piacere di nessun tipo.
E dopo che mi sono alzato e che mi sono vestito e che sono andato a correre, intanto che correvo mi è venuta in mente una striscia di Mafalda, un fumetto del fumettista argentino Quino che leggevo quando ero piccolo dove c’era Felipe, un amico di Mafalda, che era triste, e Mafalda gli chiedeva «Cos’hai, Felipe?» e Felipe rispondeva «Invece di fare i compiti ho letto tutto il tempo dei fumetti. E la cosa peggiore è che non mi sono goduto i fumetti perché sapevo che dovevo fare i compiti. E adesso mi è venuta l’angoscia perché i compiti non li ho ancora fatti». E Mafalda gli chiedeva «E perché non li vai a fare?». E Felipe rispondeva «Be’, non mi sono goduto i fumetti, lascia che mi goda almeno l’angoscia». Ecco, io, l’altro giorno, non mi sono goduto né i fumetti, intesi come il libro di Umberto Eco, né l’angoscia, mi son poi goduto la corsa e il lavoro, che di lavoro dovevo rivedere una specie di romanzo che uscirà in giugno e a me il lavoro di revisione dei romanzi mi piace moltissimo.
«Ma se ti piaceva moltissimo, allora perché non ti volevi alzare da letto?» mi viene da chiedermi. «Non mi volevo alzare da letto, – mi vien da rispondermi, – perché io ho bisogno di essere in difetto, di avere l’impressione di non riuscire, di essere attraversato da quell’angoscia lì di cui parla Quino altrimenti ho l’impressione che il mio lavoro non valga niente». «Non posso continuare. Continuerò» dice un personaggio di Beckett. Ecco, tutti i giorni così: «Non posso continuare. Continuerò».

[Uscito ieri su Libero]