La steppa

mercoledì 4 Maggio 2016

Nel momento in cui Egóruška stava guardando i volti dei dormienti, si era sentito d’un tratto un cantare sommesso. Da qualche parte, poco lontano, una donna cantava ma dove fosse, e in che direzione, era difficile dirlo. La canzone sommessa, monotona e malinconica, simile a un pianto e appena percepibile, si sentiva ora a destra, ora a sinistra, ora dall’alto, ora da sotto terra, come se la steppa fosse stata percorsa da uno spirito invisibile che si era messo a cantare. Egóruška si era guardato intorno e non capiva da dove venisse quella strana canzone; poi, a forza di ascoltare, aveva cominciato a sembrargli che fosse l’erba, a cantare; nella sua canzone, lei, semimorta, quasi andata, senza parole ma con un lamento sincero, cercava di convincere qualcuno che non era colpa sua, che il sole l’aveva bruciata senza una ragione; assicurava di avere una appassionata voglia di vivere, che era ancora giovane e che sarebbe stata anche bella, se non ci fossero stati il caldo e la siccità; non aveva colpe ma chiedeva lo stesso perdono a qualcuno e giurava che provava un dolore insopportabile e che era triste e si compiangeva…
Egóruška aveva ascoltato ancora un po’ e gli era sembrato che per quella malinconica, monotona canzone, l’aria fosse diventata più calda, più soffocante e più immobile… Per far tacere la canzone, canticchiando e cercando di fare rumore coi piedi era corso fino al carice. Da lì aveva guardato da tutte le parti e aveva trovato, chi cantava. Vicino all’isba più lontana del piccolo villaggio c’era una donna con una sottana corta, con delle lunghe gambe sottili, come un airone, e setacciava qualcosa; dal setaccio scendeva lento dal poggio un pulviscolo bianco.

[La steppa di Čechov, capitolo 2]