La presunzione di avere ragione

sabato 29 Settembre 2018

Ho scritto, per la Verità, quattro pezzi sui social network, e il penultimo finiva con un signore che, senza sapere niente di avanguardie russe, commentava una fotografia del grande fotografo Aleksandr Rodčenko, una pubblicità del 1924 per una casa editrice sovietica, sostenendo che fosse un’immagine pornografica che aveva a che fare con il 1968, e pretendeva anche di avere ragione; qualche giorno fa, mi è successo il contrario, cioè che, su un social network, parlando di un argomento di cui non sapevo niente, son stato io a aver la presunzione di avere ragione.
È successo che una lettrice, su Twitter, ha fotografato una pagina di un libro che ho scritto io, che si intitola La grande Russia portatile, dove c’è scritto che, in una biografia di Jurij Gagarin, il primo cosmonauta, «si dice che quando, negli anni ottanta, uno scienziato americano che aveva partecipato alla missione della Nasa che aveva portato Armstrong sulla luna, aveva incontrato uno scienziato sovietico che aveva partecipato alla missione che aveva portato Gagarin nello spazio, l’americano aveva detto al sovietico: “Ascolta, noi abbiamo speso 18 milioni di dollari per l’ideazione e la costruzione di speciali articoli da cancelleria, penne, soprattutto, che funzionassero in assenza di gravità, voi come avete fatto?”, e che il sovietico, un po’ imbarazzato, avesse risposto “Noi? Eh, noi, abbiamo usato le matite”».
Un signore che si chiama Paolo D’Angelo, «space Journalits», c’è scritto nel suo profilo, ha obiettato che Gagarin, negli anni ’80, era morto da tempo, e che la storia delle penne e delle matite è pura fantasia, e ha chiesto il conforto di un suo conoscente, che si chiama Paolo Attivissimo, «giornalista informatico, cacciatore di bufale, conduttore Radio Svizzera», c’è scritto nel suo profilo, che ha scritto che Gagarin è fuori contesto e che la storia delle biro e delle matite è una balla, e ha linkato un articolo nel quale si dice che questa storia, «anche se è divertente e fa riferimento alla semplicità delle soluzioni adottate dagli ingegneri russi, notissima fra gli addetti ai lavori», non è vera. Gli americani non avrebbero speso tutti quei milioni di dollari e i russi avrebbero usato sia le penne che le matite, nello spazio, a quanto pare.
Io ho risposto dicendo che queste cose non le dice Gagarin, e che quindi il fatto che, negli anni 80, Gagarin sia morto, è del tutto indifferente, e che Gagarin non è per niente fuori contesto, visto che si parla di lui, e che, nel libro che ho scritto io, nessuno dice che la storia delle penne e delle matite è vera, si dice che è raccontata in una biografia, nella quale, effettivamente, è raccontata.
Paolo Attivissimo ha ribattuto così: «Capisco. Ma a me dispiace quando l’estetica vince sulla correttezza storica. Ogni rettifica mancata alimenta il mito e lo rinforza» e ha aggiunto che gli sarebbe piaciuto se avessi messo una nota dove dicevo che la storia delle matite sovietiche non era vera.
Io ho risposto che nel mio libro non c’è nemmeno una nota, e che questa discussione mi faceva venire in mente uno scrittore di Praga che si chiama Patrik Ourednik che, nel 2001, ha scritto un libro, intitolato Europeana, che è diventato il libro dell’anno in Repubblica Ceca e che racconta la storia del XX secolo dando a tutto, alla prima guerra mondiale, all’invenzione delle gomme da masticare, ai campi di sterminio, all’invenzione della Barbie, alla scoperta della psicanalisi, la stessa enfasi, come se tutto avesse la stessa importanza.
Sembra un libro scritto da uno storico con l’esaurimento nervoso ed è un tremendo ritratto del XX secolo, dove si legge, tra tante altre cose: «I comunisti dicevano che i membri di una società comunista non avevano bisogno del sesso perché il piacere più alto per l’uomo proviene dal lavoro di cui poteva essere fiero mentre nel capitalismo i lavoratori sfruttati non traevano alcuna gioia dal loro lavoro e dovevano fare ricorso a dei succedanei» (la traduzione è di Andrea Libero Carbone).
Ecco, io credo che, se qualche sessuologo, all’uscita del libro di Ourednik, avesse obiettato che non è vero che i lavoratori comunisti non avevano bisogno del sesso, e qualche sindacalista avesse obiettato che non è vero, che in occidente i lavoratori non traevano alcuna gioia dal loro lavoro, Ourednik avrebbe potuto ribattere che lui non aveva scritto che quelle cose eran vere, aveva scritto che venivano dette, come, effettivamente, erano state dette, nel mondo sovietico.
In un saggio dove ragiona sul proprio modo di intendere la letteratura, Ourednik scrive che, in letteratura, «non si tratta più di sapere chi ha vinto la battaglia di Solferino, ma di vedere come i cronisti l’hanno descritta». E continua dicendo che «se la letteratura deve realmente avere una funzione», la sua funzione è la realizzazione dell’utopia anarchica, «vale a dire un mondo in cui le verità non coesistono più verticalmente ma orizzontalmente, e ciò nonostante pacificamente. Se, un giorno, questo mondo arrivasse, – conclude Ourednik – allora la letteratura perderebbe la sua ragion d’essere. Non si può avere tutto, un mondo senza conflitti e la letteratura».
Questa utopia anarchica realizzata a me sembra abbia a che fare con la storia di quel padre di famiglia che, quando il suo figlio maggiore era andato a lamentarsi del figlio minore aveva detto, al figlio maggiore: «Hai ragione». Poi, quando il figlio minore era andato a lamentarsi del figlio maggiore, aveva detto, al figlio minore: «Hai ragione». Poi, quando la moglie gli aveva detto «Non puoi dare ragione a tutti e due», ci aveva pensato un po’ poi le aveva detto, alla moglie: «Hai ragione anche te».
Questo sembra un mondo in cui si è realizzata l’utopia anarchica, un modo in cui tutti hanno ragione, solo che è un mondo che a me, che aspiro a essere anarchico, non piace. E allora?
Allora la risposta mi sembra la dia ancora Ourednik nel suo libro successivo, Istante propizio, 1855, che, quando è uscito in Italia, nel 2006, aveva una quarta di copertina (che avevo scritto io) che diceva così: «Riassunto del libro: “È bella l’anarchia?” “È bellissima.” “È possibile?” “Non è possibile.” “È meno bella per il fatto di non essere possibile?” “Non è meno bella”».
Siamo salvi: l’anarchia non è possibile.
E la letteratura non è il posto delle ragioni, è il posto degli errori. Forse.

[Uscito ieri sulla Verità]