La pancia quando si sveglia

sabato 29 Novembre 2014

Si avvicina gennaio e si ricomincia, come ogni anno, a parlare di Shoah, si preparano i libri che usciranno per il giorno della memoria, i librai li han già ordinati, non lo dico per criticare, ne ho pubblicato uno anch’io, l’anno scorso, e quella storia lì, che è una storia alla quale io, per quarant’anni, ho voltato le spalle, ogni volta che entravo in libreria e vedevo un libro con in copertina del filo spinato o la divisa a righe di Auschwitz io mi voltavo, fisicamente, non ne volevo proprio sapere, fino a quando, sette anni fa, mi hanno invitato dalla fondazione Fossoli, vicino a Carpi, dove c’era il più grande campo di concentramento del nord Italia, quello da dove partivano i treni per Auschwitz, è partito da lì anche Primo Levi, e quando, sette anni fa, mi hanno invitato ad andare ad Auschwitz con loro e con seicento studenti degli ultimi anni delle scuole superiori della provincia di Modena e io ho detto di sì, da allora ci son tornato tutti gli anni, e di quei libri lì, con il filo spinato in copertina e la divisa a righe, adesso ne ho una libreria piena, e quella storia lì a me sembra una storia incredibile, stupefacente, e così viva, così attuale, mi parla così tanto di me e di quel che mi succede oggi che non riesco a immaginare cosa scriverei e come la penserei se, sette anni fa, non mi avessero telefonato dalla fondazione Fossoli per invitarmi e la scorsa settimana, dalla fondazione Fossoli, sono venuti a casa mia per farmi un’intervista per un documentario che faranno vedere per il giorno della memoria e il regista mi ha chiesto se noi, rispetto ai ragazzi che vanno ad Auschwitz quando hanno 17 o 18 anni, noi che ci siamo stati la prima volta che ne avevamo 40 e passa, di anni, e che eravamo già più capaci di usare la testa, se noi non siamo stati avvantaggiati, rispetto a quei ragazzi che ci vanno da giovani, mi ha chiesto il regista, e io gli ho risposto che, secondo me, adesso che ho 40 e passa anni, 51, per la precisione, io la testa ho l’impressione di usarla molto meno, di quando di anni ne avevo 17 o 18, perché quando di anni ne avevo 6, che ho cominciato a andare a scuola, e mi han cominciato a dire che il mondo era un posto sensato, dove le cose si facevano come si deve, io a questa cosa ci avevo creduto, e fino a quando di anni ne ho avuti 35 o 36 io questo senso, queste cose fatte come si deve ho continuato a cercarle, con la mia testa, e l’assenza di senso che verificavo ogni giorno era una cosa che mi mortificava, invece adesso, ho detto al regista, da una decina d’anni in qua, io ho l’impressione questa mancanza di senso di averla come accettata e di non esser guidato dalla mia testa, ma dalla mia pancia; non è il mio cervello, poverino, che mi dice dove andare, è il mio sentimento, è una specie di istinto del bene che mi fa inseguire gli affetti dove mi sembra ci siano e se fossi andato ad Auschwitz a 17 o 18 anni credo che mi avrebbe colpito meno, anzi, credo che non ci sarei voluto andare, avevo i miei problemi senza andare a astrologare Auschwitz avevo il mondo che non mi rispondeva, a 17 anni, invece adesso, ho detto al regista, io la mia pancia, tutti i giorni, quando si sveglia, lei si aspetta chissà che cosa, e dopo se molti giorni succede chissà niente, be’, gli ho detto al regista, pazienza.

[Uscito ieri su Libero]