La bussola e il cielo

lunedì 12 Gennaio 2009

Era quello un periodo, l’inizio del secolo scorso, che un po’ in tutto il mondo, e anche in Russia, la gente aveva perso la bussola, se così si può dire.

Con la scoperta delle geometrie non euclidee, era stata messa in discussione un’opera sulla quale, in occidente, si fondava la cosmografia, il disegno del mondo, Gli elementi di Euclide, e pochi anni dopo, con i lavori di Minkovksij e di Einstein, era stata messa in discussione anche l’idea newtoniana di tempo; non si sapeva più niente, non si era più sicuri di niente, e una delle conseguenze era il fatto che la gente si immaginava di tutto, si inventava di tutto, e la cosa era evidente anche in poesia.

Simbolisti, acmeisti, chiaristi, adamisti, imaginisti, gilejani, futuristi, egofuturisti, cubofuturisti, poeti contandini, mezzaninisti, raggisti, realisti, centrifughisti, costruttivisti, serapionisti, espressionsti, impressionisti, biocosmici, luministi, form-libristi, neoclassicisti, emozionalsiti, fuisti, quarantunisti, nullisti, tuttisti, c’era di tutto e tutti, a guardare, avevano delle poetiche, se così si può dire, che a guardarle oggi hanno un che di originale e sorprendente, anche i gruppi più piccoli, come i nullisti, che era un gruppo di Rostov sul Don che nel 1920 avevano pubblicato un manifesto che suonava così:

Manifesto del nullismo

Non scrivete nulla
Non leggete nula
Non dite nulla
Non stampate nulla.

A Rostov sul Don, negli anni 20 del novecento, i nullisti, grazie a questo manifesto, e a altre loro opere, erano diventati talmente famosi che sembra che Nullista, Ničevok, in russo, in quel periodo, a Rostov sul Don, fosse diventato sinonimo di poeta, tutti i poeti erano ničevoki, eran nullisti, negli anni 20 del novecento, a Rostov sul Don.

E Chlebnikov, che aveva studiato matematica a Kazan’, l’università di Lobačevskij, e che di Lobačevskij si considerava discepolo, e che le geometrie non euclidee le conosceva non per sentito dire, tanto da fare entrare spesso, nelle sue poesie, anche simboli matematici come la radice quadrata di meno uno, Chlebnikov, dicevamo, aveva provato anche lui a cambiare la parola russa con cui si designa il poeta, che in russo era, ed è, poeta, scritto come in italiano, con una pronucia leggermente diversa, paeta, però lui non l’avrebbe chiamato Ničevok, aveva scelto un’altra parola.

Chlebnikov, come già detto, era convinto che la lingua avesse una saggezza sua, e che dalla lingua si potesse imaparare, che contenesse, per esempio, in sé, le geometrie non euclidee di Lobačevskij.

Uno dei compiti del poeta, secondo Chlebnikov, era ricostruire questa saggezza della lingua, trovare nella lingua una chiave per capire il mondo, rintracciare la cosmografia che era andata perduta nelle lingue slave, e rimediare alla loro corruzione, inventando parole anche nuove, e ne inventava tantissime, e passava i giorni sui dizionari, e non sopportava i calchi dalle lingue occidentali, e poeta non andava bene perché era un calco da una lingua occidentale, e era meglio chiamarlo nebopisec, da nebo, cielo, e pisat’, scrivere, e si potrebbe tradurre scrittore di cieli, o cieloscrivente.

[Dalla postfazione a Velimir Chlebnkikov, Quarantasette poesie facili e una difficile, da mettere un po’ a posto]