Il millepiedi (un’intervista)

lunedì 10 Giugno 2013

banda

 

 

 

 

 

 

 

– La tua scrittura, figurativamente parlando, a me fa pensare a un’avanzare ininterrotto e scaglionato, come un vagone dietro l’altro di un treno in corsa. Travolgente. Potresti spiegarcela come nel libro sei riuscito a fare con l’acqua, per chi magari non ti conoscesse ancora?

Credo di essere la persona meno adatta, a spiegare il modo in cui scrivo, non ci ho mai pensato e non ci voglio pensare, forse perché ho paura che mi succeda come nel paradosso del millepiedi, enunciato, se non sbaglio, da Plotino, che, se non sbaglio, diceva che una volta avevano chiesto a un millepiedi come faceva a muoversi, con tutti quei piedi, come faceva per esempio a decidere qual era il piede con cui partire e lui, quel millepiedi lì, non è stato più capace di camminare.

– In una intervista video su Repubblica citi Luigi Malerba, il quale diceva di scrivere per capire quello che pensava. Cosa hai capito di più con questo tuo ultimo libro?

Luigi Malerba, quando gli han chiesto perché scriveva, ha risposto «Per capire quello che penso», che è una bellissima risposta però non è il mio caso, io scrivo per disperazione e di solito non capisco niente, e se, per caso, qualche volta, mi sembra di capire qualcosa, sono cose che non si possono dire.

– Anche a me, come Ermanno, capita un po’ di vergognarmi se la sera decido di accendere la TV. Perché ci sarebbe di meglio da fare e la scusa che accampo, sempre come Ermanno, è la stanchezza. Ti chiedo allora un’altra cosa che si vergognerebbe di fare Ermanno.

Ermanno non guarda la Tv, non ce l’ha, quindi siete diversi, mi viene da dire. Mi sembra che Ermanno si vergogni di tante cose; forse, principalmente, di suo genero.

– Credo che questo romanzo abbia quella impercettibile differenza, ossia qualità superiore, rispetto a molti altri romanzi, quella che Ermanno come editore va in giro a far notare tra i suoi libri e quelli delle altre case editrici. “La banda del formaggio” va vissuto, va letto ad alta voce, non va interrogato. Per ciò, mi tolgo un po’ dall’impiccio della domanda, chiedendo a Paolo Nori se c’è qualcosa che non è stato detto sul suo libro e vorrebbe dire o svelare.

Io, più che altro, in momenti come questo, quando il libro è appena uscito, sono qui ad ascoltare, a sentire l’effetto che fa, non ho chiavi di lettura particolari, non ho segreti da svelare, mi sembra di essere un lettore come gli altri e mi sembra che il mio punto di vista valga come quello di qualsiasi altro lettore.

– In conclusione, una volta finita la lettura, mi è venuta come l’idea che, a salvarsi da questo surrealismo comico e il più delle volte malsano della vita di tutti i giorni, siano, qui, la Letteratura e l’affettatrice rossa. Ma, l’affettatrice rossa… esiste?

Premesso che, a me, la vita di tutti i giorni piace, e molto, mi sembra che esistano diverse affettatrici rosse; alcune le puoi trovare nella trattoria I corrieri, nel centro di Parma, un posto dove, per conto mio, si mangia anche abbastanza bene.

(a Stefano Rossi, si trova anche qui: clic)