Un grande poeta

domenica 26 Aprile 2015

Questa settimana il presidente del consiglio, Matteo Renzi, ha detto «Il cuore continua a battere forte, a domandarsi come questa bellezza di cui noi parliamo può salvare il mondo, avrebbe detto il poeta, un grande poeta come Dostoevksij». Da un certo punto di vista è una cosa bella, che un politico citi Dostoevskij, la cosa che non si capisce tanto è come mai dica che è un poeta, visto che Dostoevskij di poesie non ne scriveva. Se, per esempio, il presidente del senato, Grasso, dicesse «Tutte le famiglie felici sono uguali, come ha detto quel grande aforista, Tolstoj», ecco, io, a sentire una cosa del genere, da una parte sarei contento, Tolstoj citato al senato, solo che subito dopo credo che penserei che magari, va bene parlar di Tolstoj, ma bisognerebbe forse parlarne in un altro modo. Anche se forse, mi vien da pensare, Renzi diceva poeta in un senso lato, nel senso di artista, cioè nel senso in cui delle persone che non sono tecnicamente dei poeti vengono chiamati poeti, come Claudio Sala, per esempio, l’ala destra del Torino che era chiamato il poeta del gol, o come Fabrizio De Andrè, che era un cantautore e molti gli dicevano che era un poeta solo che lui, quando sentiva dire, sembra che dicesse «Fino a diciotto anni scrivono tutti delle poesie, dopo i diciotto anni solo i poeti e i cretini, diceva Benedetto Croce», diceva De Andrè. E a proposito di cretini, quella frase lì ricordata da Renzi, «La bellezza salverà il mondo», è una frase che è vero che l’ha scritta Dostoevskij, ma non l’ha detta lui in prima persona, l’ha attribuita a un personaggio che è il principe Miškin che, in quanto protagonista del romanzo L’idiota, è un idiota, cioè non un cretino, ma qualcosa del genere, e lo dico con grande rispetto per gli idioti, per i cretini e per gli imbecilli in generale tant’è vero che io, ormai quasi vent’anni fa, quando ho cominciato a scrivere, ero a Parma, in via Cavour, in mezzo alla gente, avevo sentito uno che diceva «Oh, deficiente!», e mi ero voltato convinto che chiamasse me, e quello era stato un momento che io ero stato contento, e all’inizio non capivo come mai questa contentezza nel momento in cui mi rendevo conto di avere un’autostima ai minimi storici, dopo a pensarci ho pensato che scrivere, per me, io per mettermi a scrivere, ero già grande, avevo più di trent’anni, per provare a scrivere avevo dato le dimissioni da un lavoro normale, facevo il responsabile amministrativo di una joint venture franco italiana, e ero nel mondo, dentro un organigramma, ero lì a metà strada, impegnato a salire, e scrivere, per me, aveva voluto dire uscire dall’organigramma, rifiutare l’idea che dovevo sforzarmi per essere più bravo, più furbo, più ricco degli altri, voleva dire in un certo senso, avere la patente del deficiente o del cretino, ma Matto Renzi, mi sono chiesto, con tutto questo nostro cretinismo, o idiotismo, che cosa c’entra? E mi sono risposto con una frase dell’aforista, lui sì, Stanisław Lec, che nella raccolta di aforismi Pensieri spettinati a un certo punto scrive «La gente che non ha niente a che fare con l’arte, non dovrebbe avere niente a che fare con l’arte. Mi sono spiegato?» (Pensieri spettinati è appena stato ristampato da Bompiani ed è a cura di Pietro Marchesani).

[Uscito ieri su Libero]