Fermatevi

sabato 28 Marzo 2015

L’altro giorno ho visto su Amazon che c’era un giudizio sull’ultimo romanzo per grandi che ho pubblicato, che si intitola Siamo buoni se siamo buoni. Mi davano una stellina (su cinque), e il giudizio completo che era il seguente: «Brutto libro: vuoto, privo di una sola idea compiuta e sviluppata, inutile, molto sciatto, fastidioso, con pessimo uso della lingua italiana». Ecco io, non so come mai, leggere dei giudizi del genere sui libri che ho scritto, ogni tanto mi succede, è una cosa che mi mette di buon umore. Sentir dire, di un libro che ho scritto, che è un «Brutto libro: vuoto, privo di una sola idea compiuta e sviluppata, inutile, molto sciatto, fastidioso, con pessimo uso della lingua italiana», è una cosa che mi piace e mi sembra ammirevole, questo giudizio che dice che Siamo buoni se siamo buoni è un «Brutto libro: vuoto, privo di una sola idea compiuta e sviluppata, inutile, molto sciatto, fastidioso, con pessimo uso della lingua italiana». Mi piace talmente, questo giudizio (firmato carlo infuso), che lo ripeterei per tutta la rubrica, per tutti i 3.300 caratteri che mi sono concessi, ma sarebbe un po’ troppo, forse, allora non lo dico più e aggiungo una cosa che mi è successa il giorno dopo aver letto questo giudizio così bello, cioè che l’Ansa mi ha fatto un’intervista a proposito di un altro romanzo che ho scritto, un romanzo per ragazzi che si intitola La bambina fulminante e la giornalista dell’Ansa (che si chiama Maurina Capuano) mi ha chiesto: «Cosa cambia quando si scrive per i ragazzi rispetto a un romanzo per i grandi?». E io le ho risposto che non cambia molto, c’è la stessa sensazione di non esser capaci, si ha sempre l’impressione che non ci si riuscirà mai, ma la cosa che un po’ mi preme, le ho detto, di questo libro come del libro per ragazzi che avevo scritto tre anni prima, che si intitola 13 favole belle e una brutta, è il fatto che, come nei libri che scrivo per grandi, ci sono una sintassi e una grammatica non ortodosse, libere, mi vien da dire, che mi sembrano in armonia, se così si può dire, con le cose che ho provato a dire quando sono andato nelle scuole elementari a fare dei seminari di scrittura, che dicevo ai bambini e alle bambine che quando scrivono per la maestra è giusto che rispettino la grammatica e che stiano attenti ai tempi verbali e all’ordine delle parole e alle ripetizioni e a tutto, ma quando scrivono per raccontar delle storie, la grammatica se la possono anche dimenticare, o fare finta di dimenticarsela: possono, se vogliono, usare le parole come usano i colori quando fanno un disegno, con la massima libertà, come vogliono e come gli viene.
E avrei voluto aggiungere, in quell’intervista all’Ansa, quel che diceva il pittore Malevič nel 1915, dopo le polemiche che c’erano state dopo che aveva esposto per la prima volta il suo Quadrato nero, un quadrato nero su fondo bianco che era stato molto criticato e Malevič aveva detto «L’arte non vi chiede se piace o non piace, come non vi è stato chiesto niente quando sono state create le stelle del firmamento», che è una frase che mi piace molto solo che aggiungerla in quell’intervista lì all’Ansa poi mi sembrava di essere uno che si dava delle arie non l’avevo mica aggiunta e anche qua fate finta che non l’ho scritta fermatevi a leggere a «come vogliono e come gli viene».

[uscito ieri su Libero]