Delle altre cose (singolari)

sabato 13 Settembre 2014

Qualche giorno fa è stato celebrato un signore che si chiama Tolstoj, che è un signore che, a parte le cose famose, come Guerra e Pace e Anna Karenina, ha scritto anche delle altre cose meno conosciute ma singolari, come un libro che ha fatto insieme a dei figli di contadini che è stato appena ripubblicato in italiano da Isbn, nella traduzione di Agostino Villa, con il titolo I quattro libri di lettura e che, tra le altre, contiene questa storiella: «A un contadino venne voglia di mangiare. Comprò un panino e lo ingoiò tutto d’un fiato, ma aveva ancora fame. Così comprò un altro panino e mangiò anche quello, ma continuava ad avere fame. Alla fine, comprò qualche ciambella, e quando ne ebbe mangiata una si sentì sazio. A quel punto, si batté sulla fronte e disse: “Che stupido che sono stato! Perché ho mangiato inutilmente tanti panini? Per essere sazio, mi sarebbe bastato mangiare fin dall’inizio una sola di queste ciambelle!”». Ecco io, quando penso a Tolstoj, mi viene sempre in mente una cosa che ha scritto nel 1884, quando aveva cinquantasei anni, e aveva già avuto tredici figli, e aveva già scritto Guerra e Pace, e Anna Karenina, e ha scritto: «Se c’è qualcuno che dirige le cose della vita, vorrei rimproverarlo. È troppo difficile e spietata». Ecco, a me sembra che Tolstoj, che era ricco, e famoso, e bravissimo, e che avrebbe dovuto esser contento, non era mai contento, e mi vien da pensare che noi, che siamo meno ricchi, di Tolstoj, e meno famosi, di lui, e infinitamente meno bravi, se volessimo far delle cose sensate probabilmente dovremmo cominciare a essere un po’ più malcontenti, mi vien da pensare, senza spingere però questo malcontento a rinunciare a fare le cose, perché era sempre lui, Tolstoj, che, nel 1884, in un libretto che si chiama Che fare scrive (nella traduzione di Luisa Capo): «Dicono: l’attività dell’uomo è una goccia nel mare. Una goccia nel mare!
C’è una leggenda indiana su un uomo che lasciò cadere una perla in mare e che, per recuperarla, prese un secchio e cominciò ad attingere l’acqua e a versarla sulla riva. Lavorò così senza sosta e il settimo giorno il genio del mare ebbe paura che l’uomo prosciugasse il mare e gli portò la perla. Se anche quel nostro male sociale che è l’oppressione dell’uomo fosse il mare, anche in questo caso per riavere quella perla che abbiamo perso varrebbe la pena di sacrificare la propria vita a prosciugare il mare di questo male. Il principe di questo mondo si impaurisce e si sottomette più facilmente del genio del mare; ma il male sociale non è il mare, bensì un fetido mondezzaio che siamo noi stessi a riempire con cura delle nostre lordure. Basterebbe solo tornare in sé e comprendere quel che stiamo facendo, cessare di amare le proprie lordure, perché il mare immaginario si disseccasse immediatamente e ci fosse possibile impadronirci di quella perla inestimabile che è la vita umana e fraterna».

[uscito ieri su Libero]