Da soli

sabato 13 Ottobre 2018

A pensarci, i film che mi sono piaciuti di più, tra tutti i film che ho visto nella mia vita, sono film che ho visto da solo: il primo che sono andato a vedere da solo al cinema, Fanny e Alexander, di Ingmar Bergman, Come in uno specchio, sempre di Bergman, Crimini e misfatti, di Woody Allen, che ho visto due volte di seguito, alla fine della proiezione son rimasto seduto e l’ho rivisto, allora si poteva, Vogliamo vivere, di Ernst Lubitsch, Stalker, di Andrej Tarkovskij, Brazil, di Terry Gilliam.
E il viaggio più bello della mia via, è un viaggio che ho fatto da solo, da Basilicanova, paese che si trova dieci chilometri a sud di Parma, a San Pietroburgo, la finestra russa sull’Europa, sul mar Baltico, 2.734 chilometri più a nord, dice Google maps, ma io allora, non so perché, son voluto passare da Mosca ne ho fatto 4.000, di chilometri, e secondo me ho fatto bene perché è stato un viaggio bellissimo, fatto da solo, così come da solo ho visto una delle partite che mi è piaciuta di più tra tutte le partite che ho visto nella mia vita, a casa di una mia amica, io non avevo la televisione, a lei non interessava il calcio, mi ha lasciato la casa lei è andata a fare un giro.
Era il 29 giugno del 2000, c’erano gli europei in Olanda, si giocava la semifinale, Olanda Italia, squadre che avevano vinto, tutte e due, tutte e quattro le partite che avevano giocato fino ad allora; si preannunciava una bella partita e io non avrei mai immaginato che sarebbe finita zero a zero e non avrei mai immaginato che mi sarebbe piaciuta tanto perché a me non piacevano, di solito, gli zero a zero, e credevo che Gianni Brera, il celeberrimo giornalista sportivo, quando diceva che la partita ideale è quella che finisce zero a zero lo dicesse per provocare, un’iperbole, un’esagerazione.
Invece quella partita, che l’Italia ha giocato in dieci per un’ora e mezza compresi i supplementari, (al trentesimo del primo tempo era stato espulso Zambrotta), nella quale l’Olanda ha preso due pali e ha tirato due rigori, uno il portiere dell’Italia, Francesco Toldo, l’ha parato, l’altro, il centravanti dell’Olanda, Patrik Kluivert, l’ha tirato conto il palo, è stata una partita bellissima. Uno zero a zero. Uno zero a zero però, tutt’altro che noioso: ogni volta che l’Olanda attaccava, e attaccavano sempre, sembrava sempre che stessero per segnare, e ogni volta che un difensore italiano, Nesta, o Cannavaro, o Maldini (anche Juliano, ma meno) ribatteva il pallone, anche alla viva il parroco, come si dice, uno che faceva il tifo per l’Italia, o uno spettatore neutrale, che, per forza, faceva anche lui il tifo per l’Italia, erano in dieci, e si erano messi dietro a difendersi contro gli olandesi che erano in undici, e giocavano in casa e gli avevano dato anche due rigori, non uno, due, ogni volta che un italiano riusciva a ribattere, o che un olandese sbagliava a tirare, era così un sollievo.
Sembrava l’apoteosi del calcio all’italiana, inventato qualche decennio prima, a Padova, da un signore di Trieste che si chiamava Nereo Rocco, e al quale io, nel 2000, mi ero permesso di paragonarmi, in un pezzetto che copio qua sotto e per scrivere il quale avevo letto il libro di Gigi Garanzini Nereo Rocco. La leggenda del paron la cui lettura mi permetto di consigliare:
«Io mi rendo conto che io come persona io non son mica adatto, al mondo sofisticato della letteratura. Io come persona mi sembra di essere, rispetto al mondo della letteratura, quello che era rispetto al mondo del football Nereo Rocco del Padova. Non come Nereo Rocco, che Nereo Rocco con il suo Padova ha scritto delle pagine indimenticabili, nel mondo del football, non in quel senso nel senso dei risultati, nel senso dello stile.
Nereo Rocco in origine era un bambino di Trieste che era figlio di un macellaio. Suo babbo, di Nereo Rocco, aveva fatto tanti di quei soldi con la macelleria che voleva che il figlio assumesse dei modi signorili, adatti al tenore sociale che la famiglia Rocco aveva acquisito grazie ai proventi delle vendite di carni equine bovine ovine suine. Gli aveva imposto di prendere lezioni di piano, a Nereo, e sognava per lui un futuro da concertista. Solo Nereo, nonostante le velleità di suo babbo, aveva fisicamente proprio la conformazione del macellaio, con delle dita che sembravano dei culatelli non riusciva a schiacciare un tasto alla volta, ne prendeva due o tre. Poi a lui gli piaceva giocare a pallone a dispetto della volontà paterna, come si dice, si diede al football.
Il football, prima della comparsa di Rocco, era uno sport per gentiluomini tutti impettiti vestiti di bianco molto rigidi nei movimenti molto eleganti molto sportivi. Dopo è arrivato Nereo Rocco. Nereo Rocco, con il suo Padova, lui ha inventato il catenaccio, undici in difesa e via di contropiede. Era una squadra che li chiamavano i manzi, una squadra che giocarci contro ti veniva una rabbia, raccontano quelli che son capitati a Padova in quegli anni lì. Raccontano anche che ai suoi difensori lui gli diceva, Nereo, Tutto quello che si muove sull’erba, colpitelo. Se poi è il pallone, diceva, pazienza».
Ecco, quella partita, l’Italia aveva giocato così, dieci in difesa e via di contropiede, e gli unici tre tiri che aveva fatto nei 120 minuti (compresi i 30 dei supplementari) li aveva fatti il centravanti, Del Vecchio, come esito di tre contropiedi l’ultimo dei quali era stato l’unico minimamente pericoloso. Si era andati ai rigori, e l’Olanda, che ne aveva sbagliati due nei 90 minuti regolamentari, ne aveva sbagliati altri tre, due dei quali parati da Toldo, che, in quella partita, era sembrato il miglior portiere del mondo, e l’Italia, sui quattro che aveva tirato, ne aveva fatti tre, uno l’aveva fatto Totti in un modo stranissimo, col cucchiaio, a imitazione di Antonin Panenka, il calciatore ceco che, per primo, ha tirato un rigore così, il 20 giugno del 1976, allo stadio della Stella Rossa di Belgrado, nella finale degli europei di quell’anno (arbitro l’italiano Sergio Gonella), una bella partita anche quella, con la Cecoslovacchia che vinceva 2 a 0, la Germania che ha segnato il 2 a 1 nel primo tempo e ha pareggiato a un minuto dalla fine del secondo tempo, si era andati ai rigori, li avevano segnati i primi 4 cecoslovacchi e i primi tre tedeschi, poi il quarto tedesco, Hoeneß, lo aveva sbagliato, era andato a tirare Panenka.
Panenka aveva tirato un pallonetto centrale, debole, apparentemente innocuo in realtà imparabile, perché il portiere tedesco, Sepp Maier, immaginando un tiro angolato, si era buttato alla propria sinistra, e, per qualche secondo, non aveva idea di cosa stesse succedendo, e stava succedendo che la Germania perdeva la finale dei campionati europei del 1976. Cosa che sarebbe poi successa, nel 2000, anche all’Italia, contro la Francia, a Rotterdam, il 2 luglio del 2000, ma quella è stata una partita che non è stata particolarmente bella, bisogna dire.

[uscito ieri sulla Verità]