Cose di cui abbiamo bisogno

venerdì 1 Maggio 2015

Marie Kondo, Il magico potere del riordino

Giorgio Manganelli scrive che «un grande libro è inesauribile, come inesauribili sono gli esseri umani, misteriosi a se stessi». «Non avere accesso al libro – continua Manganelli – è non avere accesso a noi stessi, alle zone più oscure, magiche, enigmatiche, a ciò che in noi sogna, ama, teme, crede e dispera». Queste righe di Manganelli mi son venute in mente perché sto leggendo un libro che mi fa paura. È un libro scritto da una giapponese che si chiama Marie Kondo, si intitola Il magico potere del riordino (il metodo giapponese che trasforma i vostri spazi e la vostra vita) e l’ha pubblicato Vallardi nella traduzione di Francesca Di Berardino. Marie Kondo è una signora che «Essendo un’avida lettrice di riviste per casalinghe fin dalla scuola materna, ogni volta che» trovava «un articolo su come organizzare gli armadi» metteva «subito in pratica i consigli»; con il passare del tempo, la sigonra Kondo ha fatto della sua passione un mestiere, convinta del fatto che «Non riuscirete mai a tenere in ordine la casa se nessuno vi ha insegnato come si fa». Devo dire che il tono un po’ autoritario della Kondo è un tono del quale subisco il potere. La mia casa è in disordine, io me ne vergogno e bramo qualcuno che mi insegni come tenerla in ordine anche facendo riferimento a poteri magici e a cose del genere che sono cose che di solito non mi affascinano tanto. Per questo ho comprato il libro e ho cominciato a leggerlo, e l’ho trovato molto interessante. «La quantità di cose che finora sono riuscita a fare buttare ai miei clienti – scrive la Kondo – da abiti e biancheria intima a foto, penne, ritagli di giornale e piccoli oggetti come campioni gratuiti di cosmetici – supera il milione di pezzi e non si tratta di un’esagerazione. Mi sono trovata in situazioni in cui i miei clienti hanno buttato via più di duecento sacchi da quarantacinque litri in un colpo solo». «Grazie all’esperienza accumulata, – continua, – c’è una cosa che posso affermare con certezza: facendo ordine in casa in modo radicale, cambiano drasticamente anche la propria forma mentis, il proprio modo di vivere e la propria esistenza. Affermare che il riordino vi trasforma la vita potrebbe sembrare esagerato ma è la verità. Questi sono solo alcuni esempi delle testimonianze che ricevo quotidianamente dai miei clienti: “Mi sono licenziata e ho aperto l’attività tutta mia che sognavo sin da piccola”; “Senza rendermene conto ho perso tre chili”; “Sono riuscita a distinguere con chiarezza le cose di cui avevo bisogno e quelle di cui non avevo bisogno; il risultato è che ho lasciato mio marito e ora mi sento molto meglio”». Ecco.
Non sono abituato a recensire libri che non ho finito di leggere, fino ad oggi mi era successo solo con un libro di Bruno Vespa (Questo amore, clic) ma questo della Kondo ho paura che sia il secondo perché non so se avrò il coraggio di finirlo. Io ho cominciato, a provare a mettere in ordine, ho aperto un cassetto che non aprivo da mesi e ci ho trovato dentro delle cose che non immaginavo, e stavo per buttarle via, in conformità con gli insegnamenti della Kondo che, a pagina 41, scrive «La cosa fondamentale è che, indipendentemente dalla categoria di disordinati in cui ci si identifica, le operazioni di riordino devono sempre cominciare dal buttar via», solo che poi mi è venuta in mente una cosa che scrive uno scrittore che a me piace molto, che si chiama Georges Perec e che in un libro che si intitola Specie di spazi scrive: «Il tempo che passa (la mia Storia) deposita residui che si accumulano: foto, disegni, feltri di pennarello da tempo asciugati, cartelline, vuoti a perdere e vuoti a rendere, imballaggi di sigari, scatole, gomme, cartoline, libri, polvere e soprammobili: ed è quello che io chiamo la mia fortuna» (la traduzione è di Roberta Delbono). Allora, io non so come andrà a finire, so solo che per il momento, rispetto al Magico del potere del riordino, mi sembra di essere nella condizione in cui era Kafka rispetto all’improvvisa fiducia di cui parla nei suoi diari il 6 novembre del 1913: «Donde l’improvvisa fiducia? Oh, mi rimanesse! Potessi entrare e uscire da tutte le porte come un uomo relativamente impavido! Salvo che non so se lo voglio».

[Uscito ieri su Libero]