Come si doppiavano i film in Unione Sovietica

giovedì 16 Luglio 2015

Paula Hawkins, La ragazza del treno

Il libro di Paula Hawkins La ragazza del treno, appena pubblicato da Piemme per la traduzione di Barbara Porteri, è nelle librerie in questi giorni con una fascetta gialla che dice: «Il caso editoriale più esplosivo del 2015. 2 milioni di copie in 5 mesi». Ecco; in questo periodo è una cosa che succede abbastanza spesso, di trovare delle fascette che magnificano il successo editoriale dei libri: di fianco al libro della Hawkins, l’altro giorno, nella libreria dove vado io, la Coop Ambasciatori di Bologna, c’era After, di Anna Todd (Sperling & Kupfer), che aveva una fascetta che diceva: «La storia d’amore che ha conquistato oltre un miliardo di lettori », che è una fascetta che mi è sembrata un po’ esagerata ma bella, e mi ha fatto venire in mente un sito dedicato, da Alberto Forni, al fenomeno delle fascette, sito che si chiama Fascetta nera e dove ci sono solo delle fascette, la maggior parte delle quali memorabili, come quella che riguarda un thriller della casa editrice Newton Compton che dice: «Thriller così non si trovano quasi mai», o quella che riguarda il libro di Rolf Sellin Le persone sensibili hanno una marcia in più (Feltrinelli) che dice: «Era da tempo che non sottolineavo un libro con tanta foga», firmato: Chiara Gamberale. La ragazza del treno, invece, a voltarlo, nella quarta di copertina ci si trova scritto: «Un capolavoro di suspense. Mi ha tenuto sveglio tutta la notte», firmato: Stephen King.
Ecco, io non sono un grande lettore di Stephen King, ma immaginando che Stephen King fosse uno che di suspense se ne intendeva, ho preso La ragazza del treno e ho cominciato a leggerlo e il giorno dopo l’avevo finito. Una cosa che mi ha colpito molto, del libro della Hawkins, è il fatto che, all’inizio, sembra il diario di una pendolare: La ragazza del treno comincia raccontando quel che succede tutti i giorni sul locale delle 8.04 da Ashbury a Londra, e va avanti raccontando quel che succede tutti i giorni sul locale delle 17.56 da Londra a Ashbury; mezza pagina per il viaggio d’andata, mezza pagina per il viaggio di ritorno, e uno ha l’impressione che su quel locale lì, attraverso gli occhi della narratrice, che si chiama Megan, succedano un sacco di cose. Dopo, pian piano, prende corpo una storia che ha a che fare con la suspense di cui parla King e che viene sviluppata da altre due voci, oltre a quella di Rachel, quella di Megan e quella di Anna. E se di questa storia non posso dir niente, è difficile recensire dei gialli, o dei noir (non ho ancora capito bene la differenza), mi sento però di dire una cosa che ha a che far con le voci e con il modo in cui, non sembri strano, si doppiavano i film in Unione Sovietica. In Unione Sovietica i film si doppiavano in un modo stranissimo, cioè si lasciava, in sottofondo, l’audio originale, con le battute degli attori nella lingua originale, e sopra, che si sentiva bene, c’era la voce di uno speaker, maschio, che faceva tutte le voci, maschili e femminili, tutte con lo stesso tono indifferente e un po’ burocratico anche nei momenti più drammatici, e mi ricordo una volta, a Leningrado, a casa di un mio amico, verso l’una del mattina, un televisore in bianco e nero con Mastroianni che entrava in una stanza e diceva «Sono uno scrittore in crisi» col tono di uno che, alla fermata dell’autobus, chiedesse «è già passato il 14?». Ecco, nel libro della Hawkins, non tanto l’indifferenza e la burocrazia, ma il fatto che le voci delle tre protagoniste non si distinguono tanto l’una dall’altra mi è sembrato un peccato, ma a parte questo, il meccanismo messo in moto dalla Hawkins mi sembra funzioni benissimo e a me ha fatto venir voglia di montare su un treno, tutti i giorni, e di fingermi pendolare e raccontare le cose che succedono sul treno e nelle immediate vicinanze del treno, cioè mi ha fatto venir voglia di stare attento, cioè mi ha fatto venir voglia di mondo, e a me sembra un bel risultato.

[uscito ieri su Libero]