Capitolo 48

mercoledì 24 Maggio 2017

A un certo momento, la Battaglia, sempre in quell’anno lì 2016, avevo sentito che cantava una canzone che mi sembrava di conoscerla, mi ero avvicinato, la canzone era: «Gli anni d’oro del grande Real, gli anni di Happy days e di Ralph Malph, gli anni delle immense compagnie, gli anni in motorino sempre in due, gli anni di “Che belli erano i film”, gli anni dei Roy Rogers come jeans, gli anni di “Qualsiasi cosa fai”, gli anni di “Tranquillo siam qui noi”», che era una canzone di Max Pezzali che parlava di cose che erano succedesse trentacinque anni prima quando io avevo diciotto anni e alla Battaglia, che di anni ne aveva undici, le avevo chiesto «Ascolta, ma lo sai tu chi era Ralph Malph?».
«No», mi aveva risposto lei.
Ecco.
In quel periodo lì io avevo appena finito di scrivere un libro che si chiamava Le parole senza le cose che in epigrafe avevo messo una frase di Joseph Roth che diceva che «Avere in comune il presente è un legame più forte che avere in comune un modo di pensare », che era una frase che mi piaceva molto e che mi sembrava molto chiara e che però quell’episodio con la Battaglia l’aveva un po’ complicata perché io e la Battaglia, è vero che avevamo in comune Ralph Malph, però il mio Ralph Malph, secondo me, era un Ralph Malph completamente diverso dal Ralph Malph della Battaglia. E mi era venuto in mente che, se dovessi scegliere tra il mio Ralph Malph e quello della Battaglia sceglierei il suo perché il suo potrebbe essere qualsiasi cosa il mio invece era uno che non mi piaceva tantissimo, a pensarci.
E avevo pensato a una cosa che avevo sentito in uno spettacolo teatrale a Parma, qualche mese prima, che ci si immaginava come sarebbe vivere al contrario, cioè cominciare morendo, senza trauma, poi ti svegliavi in un letto di ospedale e ogni giorno stavi un po’ meglio, e poi ti dimettevano, e andavi in posta a ritirar la pensione e più passava il tempo più le tue forze aumentavano, le rughe scomparivano finché non iniziavi a lavorare e il primo giorno ti regalavano un orologio d’oro, e lavoravi quarant’anni finché non eri così giovane che smettevi, e andavi a delle feste, bevevi, giocavi, fiondavi e ti preparavi per iniziare a studiare.
Poi iniziava la scuola, e piano piano diventavi un bambino piccolo, e quando eri piccolissimo ti infilavi in un posto che ormai conoscevi bene e gli ultimi nove mesi li passavi tranquillo e sereno in un posto riscaldato con servizio in camera e senza nessuno che ti rompeva i coglioni e lasciavi questo mondo in un orgasmo, dicevano, che non sarebbe male, se non fosse per certe cose, che, non so, faccio un esempio.
Io ero appena stato a Livorno, e avevo scoperto che a Livorno c’era un sindaco che, per il problema dei proprietari dei cani che non pulivano quando i loro cani facevano la cacca, aveva proposto di fare una anagrafe canina con segnati nome, cognome, indirizzo e Dna di tutti i cani di Livorno e poi, quando si trovava una cacca per strada, di mandarla ai Ris di Parma che l’analizzavano e poi controllare con l’anagrafe e mandare una multa al padrone che era una proposta che, se l’avessi sentita da giovane, avrei preso paura, forse, una società autoritaria, il grande fratello, sentita da vecchio invece era una proposta che mi metteva di buonumore.

[Un mio amico mi ha detto che Strategia della crisi, alla Feltrinelli di Milano Stazione Centrale, è nel reparto Sociologia, che io ho pensato che lo prendo come un complimento]