Indisciplina della comunicazione

martedì 12 Giugno 2012

Chi non sfa non sfalla

Il termine indisciplina indica ogni scienza che si ottiene cambiando di segno i concetti fondamentali delle scienze che attualmente compongono l’universo accademico italiano.
Sono già stati inventati molti metodi e atteggiamenti ascientifici: ora si tratta di unificarli sotto l’etichetta dell’Ascienza. Ovunque stia andando l’informatica, un’apposita disinformatica la tallona coscienziosamente. Alla giurisprudenza sfuggono i principi dell’ingiurisprudenza (modi di calunniare subdolamente senza commettere reato). E se l’economia conosce e combatte la diseconomia, il commercio mantiene rapporti misteriosi con lo smercio. Un buon dottore di quartiere può curare cagnolini e micini per tutta una vita senza sospettare il pervicace disfattismo dell’inveterinaria (cfr. disinKant e il disadornitorinco).
In alcuni casi la scienza è già contenuta nel suo rovescio: l’astrologia è in parte una disastrologia. In Lewis Carrol si trovano già alcuni elementi di mattematica e di illogica. Meno frequentate le scienze incognitive, quelle in cui si studiano i modi in cui la mente non riconosce gli oggetti che le si presentano, poiché viaggiano travestiti. A ogni possibile fondazione di una ludologia, a parte l’orrore del nome, si oppone immediatamente la più ragionevole deludologia (la scienza del promettere e non mantenere). La misantropologia strutturale studia la sistematica antipatia che il ricercatore ispira alle popolazioni che intende studiare. La sabotanica tassonomizza le rimpiante (organismi vegetali defunti), la frittiologia si occupa dei pesci alla griglia.

[Stefano Bartezzaghi, Tèchne, numero 9/10/11, Udine, Campanotto 2001, p. 43]

Il numero 20

venerdì 11 Maggio 2012

La settimana scorsa, Paolo Albani, un signore di Marina di Massa che da anni abita a Pistoia e che ha insegnato per anni economia a Trieste, se non mi sbaglio, membro dell’OpLePo, Opificio di letteratura otenziale (versione italiana dell’OuLiPo, quella di Queneau e di Perec), autore di un Dizionario delle lingue immaginarie (Aga Maféra Difùra, Zanichelli 1994), di un’Enciclopedia delle scienze anomale (Forse Queneau, Zanichelli 1999), di un Catalogo ragionato di libri introvabili (Mirabiblia, Zanichelli 2004) e di un Dizionario degli istituti anomali nel mondo (Quodlibet 2009), la settimana scorsa, a Bologna, mi ha regalato l’ultimo numero della rivista che dirige, Tèchne, rivista pubblicata dall’editore Campanotto di Udine e che esce, da 25 anni, con cadenza irregolare.
L’ultimo numero è uscito nell’ottobre del 2011, è il numero 20 e ha, come tema, le modeste proposte, e contiene più di trenta contributi tra i quali quello di Alphonse Allais che si chiede, dal momento che la parte meridionale della Francia si chiama Meozzogiorno, e dal momento che si può dire, per esempio: «I medici gli hanno consigliato di passar l’inverno nel Mezzogiorno», come mai altre parti della Francia non si possono chiamare, per esempio, Mezzanotte, o Quattro meno un quarto, e propone un ingegnoso sistema di meridiani e parallelli che, se adottato, permetterebbe di riconoscere un quadratino relativemente piccolo di territorio francese con l’indicazione: «Martedì alle sette e un quarto», o: «Domenica alle 21». Continua a leggere »

Bolaño

sabato 5 Maggio 2012

Eppure entreremo nel terzo millennio con i politici di sinistra che chiedono perdono, cosa che non è neppure un male e, a pensarci bene, può essere perfino raccomandabile, a condizione che tutti i politici chiedano perdono, quelli di sinistra e quelli di destra e quelli di centro, per tutti i crimini reali che hanno commesso i loro padri e i loro nonni, qui e in altri paesi, soprattutto in altri paesi (ci mancherebbe!), e chiedano perdono anche per la sfilza di bugie che i loro padri e i loro nonni hanno raccontato e che loro stessi son pronti a continuare a raccontare, e per le cose che hanno tenuto nascoste e per le pugnalate a tradimento, vale a dire alla schiena, e allora sì che avremmo un bel panorama, come diceva Hart Crane, tutti i politici di un paese che chiedono perdono, e fanno a gara a chi lo chiede nel modo più convincente e roboante.
Certo, io preferirei che entrassimo nel XXI secolo (che d’altra parte non significa niente) in modo più civile, magari discutendo, ossia ascoltando e riflettendo, ma se ciò non fosse possibile, come tutto sembra indicare, non sarebbe un male, o se non altro sarebbe un male minore, entrare nel terzo millennio chiedendo perdono a destra e a sinistra, e già che ci siamo, erigendo una statua a Nicanor Parra in Plaza Italia, una a Nicanor e un’altra a Neruda, ma di spalle.

[Roberto Bolaño, Una modesta proposta, in Tèchne, 20, pp. 94-95]

Bernhard

sabato 5 Maggio 2012

I sindaci di Pisa e di Venezia si erano accordati per fare una sorpresa che lasciasse a bocca aperta i turisti in visita alle loro città, i quali da secoli si lasciavano ugualmente incantare da Pisa come da Venezia, per cui avevano deciso di far trasportare e montare, in gran segreto e di notte, la torre di Pisa a Venezia e il campanile di Venezia a Pisa. Ma non erano riusciti a tenere segreto il loro proposito, e proprio nella notte in cui volevano fra trasportare la torre di Pisa a Venezia e il campanile di Venezia a Pisa erano stati internati in manicomio, logicamente il sindaco di Pisa nel manicomio di Pisa e il sindaco di Venezia nel manicomio di Venezia. Le autorità italiane erano riuscite a trattare la cosa con la più assoluta riservatezza.

[Thomas Bernard, Una modesta proposta dei sindaci di Pisa e di Venezia, in Tèchne, numero 20, p. 88]

Come si somministra il premio letterario

venerdì 4 Maggio 2012

Gli autori vengono coricati ciascuno sul suo letto, su un materasso un po’ duro, con la testa lievemente sopraelevata e un cuscinetto sotto il bacino, le gambe semiflesse, divaricate, la camicia tirata verso lo sterno, le gambe semicoperte. Gli autori dovranno respirare tranquillamente, rilasciare i muscoli, lasciar fare con serenità. Avranno tra le gambe una bacinella.
Dopo un intervallo di consultazione, la giuria prende il premio letterario, ben lubrificato, l’inserisce improvvisamente in uno degli autori e lo spinge avanti con dolcezza. Il premio procede, in genere, senza difficoltà per 10-12 cm. Se si avverte una resistenza, si ritira alquanto il premio, lo si scuote leggermente e si ritorna a spingere con delicatezza, imprimendo all’autore qualche movimento di rotazione, fino alla totale premiazione.
Gli altri autori possono nel frattempo rivestirsi. Dopo l’operazione, il premio letterario va accuratamente lavato, asciugato e riposto.

[Juan Rodolfo Wilcock, Come si somministra il premio letterario, in Tèchne, numero 20, pp. 30-31]

Una proposta

mercoledì 2 Maggio 2012

«Come sta?» dissi.
«Ho preparato una proposta da sottoporre al ministro della giustizia per punire una categoria di persone che mi dà fastidio in modo particolare.»
«Per esempio?»
«Per esempio quelli che, dopo aver nominato New York, se devono nominarla una seconda volta, dicono la Grande Mela. Per questi la pena dovrebbe essere l’ergastolo.»
«Accidenti!» dissi.
«Sì, ma non solo per questi. Anche per quelli che, dopo aver nominato il dollaro, se devono nominarlo una seconda volta, dicono il biglietto verde; o, se devono nominare l’oro una seconda volta, dicono il metallo giallo. E la stessa pena per quelli che dopo il pallone, invece di ripetere il pallone dicono la sfera di cuoio. Ergastolo senza le solite riduzioni di pena» aggiunse. «E per quelli che prima dicono il papa – una paroletta breve che fa risparmiare tempo e fatica – e poi si buttano su Giovanni Paolo Secondo?»
«Ergastolo» dissi.
«Bravo. E per quelli che, dopo aver nominato Gelli, aggiungono sempre l’ex maestro venerabile della loggia P2?»
«L’ergastolo come sopra» dissi.
«No, la fucilazione».

[Aldo Buzzi, Una proposta da sottoporre al ministro della giustizia, in Tèchne, numero 20, p. 38]

Basta

domenica 29 Aprile 2012

Umberto Eco ha scritto un libro estremamente gradevole, divertente, lucido; un po’ manageriale, da manager giovane e aggressivo, cui piacciono le cose ben fatte. Il libro insegna come si fa una tesi di laurea; ed è talmente cattivante, da far venire gola di laurearsi da capo. A mio avviso, bisogna resistere. Eco ha un suo modo di sussurrare, raccontare, inventare le vie, le virtuose trame che consentono di scrivere una tesi che a negargli ascolto ci vuole protervia. L’avessi incontrato, un libro così fatto, nella mia giovinezza, avrei imparato a fare cose che non sarò mai fare. Ad esempio, le note a piè di pagina. Troppo tardi; incapace di frequentare metodicamente le biblioteche nostrane, di compilare schede, di catalogare argomenti, di redigere note, ho dovuto ridurmi a fare il genio. Miserabile fine, per chi era nato per gli studi. Ma, in questo modo, mi sono esentato da tutto ciò che non so fare, che è, appunto, tutto.

[Giorgio Manganelli, Basta con la tesi di laurea, in Tèchne, 20, Campanotto, Udine 2012, p. 55]

Charms

giovedì 24 Giugno 2010

coptechne19-2

/…/ È arrivato ora il momento di dire che non solo dietro le spalle di Nikolaj Ivanovič, ma anche davanti – diciamo, davanti al suo petto – e tutto intorno a lui non c’è nulla. Assenza totale di qualsiasi esistenza, o, con un’arguzia d’altri tempi: assenza di qualsiasi presenza.
/…/ E d’altronde cos’è che stiamo dicendo? Abbiamo detto che tanto al di dentro quanto al di fuori di Nikolaj Ivanovič non esiste nulla. E se non esiste nulla né dentro né fuori vuol dire che neanche la bottiglia esiste. Non è così?
Ma, d’altronde, fate attenzione a quanto segue: se diciamo che non esiste niente né dentro né fuori, si impone una domanda: dentro e fuori che cosa? Qualcosa evidentemente esiste, allora? Oppure, forse, non esiste. Allora, perché diciamo «dentro» e «fuori»?
No, è chiaro che siamo in un vicolo cieco. E neanche noi sappiamo cosa dire.
Arrivederci

Daniil Dandan
18 settembre 1934

[Daniil Carms, Dei fenomeni e delle esistenze N. 2, tr. it. Rosanna Giacquinta, Tèchne nuova serie n. 19, cit., pp. 23-24]

Pubblicare

martedì 22 Giugno 2010

coptechne19-2

Un mio amico diceva: «è necessario scrivere, non è necessario pubblicare»; verità di un certo livello di profondità, che ritroviamo nel suo contrario, quello che sto vivendo: «è necessario pubblicare, non è necessario scrivere». A dimostrazione della fondatezza del mio assunto, mi permetterò di offrire al tipografo una riga inesistente:

come avete visto, la riga non c’è; a nessun titolo, neanche il più vago, essa è stata scritta; è una riga di nulla, e tuttavia è lunga esattamente quanto doveva essere lunga, ha un numero d’ordine nella pagina, mi avvicina alla conclusione della pagina. È una vera riga, non v’è dubbio; e pure, pur essendo stata pubblicata, non ha avuto bisogno di essere stata trascritta. Personalmente, considero quella riga bianca come l’unica riga dell’intero pezzo che sto scrivendo, l’unica che corrisponda con maniacale esattezza alla regola, alla legge di essere ‘pubblicata ma non scritta’. È una riga che pone molti ed ardui problemi di teoria della pubblicazione, e mi piacerebbe che da essa, da quella riga misteriosa e innocua, prendesse l’avvio una Retorica della Pubblicazione, o una Teoria del non-scrivere, o Princìpi finali della letteratura inesistente.

Giorgio Manganelli, in Tèchne nuova serie,19, Paian di Prato (UD), Campanotto 2010, p. 62

Una copertina

sabato 12 Giugno 2010

coptechne19-2

[è uscito il numero 19 di TèCHNE, sul nulla]