Sì
Eggià, ho pensato stamattina, dev’essere difficile, stare al mondo.
Il telefono fisso mi manca principalmente perché, quando perdo il cellulare, non so mai come chiamarmi.
Nella condizione ridicola dell’uomo innamorato c’è un po’ quella cosa che sembra dicesse una poetessa polacca che sembra dicesse Preferisco il ridicolo di scrivere delle poesie al ridicolo di non scriverne.
Stanotte, a tornare in treno da Milano, ho imparato che io parlo il broken english, e non lo sapevo.
Son stato a Mantova, ho comprato una sbrisolona, una famiglia è qualcuno a cui portare una sbrisolona quando vai a Mantova.
Ho il bagno con tutte le lampadine che funzionano, dopo due anni che non succedeva, e stasera, una parte della serata l’ho passata a guardare il bagno con tutte le lampadine che funzionano e a pensare Che spettacolo.
E l’altro giorno, intanto che scendevo dal treno e pensavo «No, ho perso il telefono», mi è venuto in mente che fino al millenovecentonovanta a nessuno, in Italia, era venuta in mente una frase del genere, «Ho perso il telefono» (ce l’avevo in tasca).
Mi è venuto in mente stasera che Normal’no, in Unione Sovietica (Normalmente, significa), era quasi un superlativo, cioè una cosa che funzionava Normal’no era una cosa quasi straordinaria che non c’era moltissima roba che funzionava Normal’no, in Unione Sovietica, che il cartello che ho visto di più, in Unione Sovietica, era il cartello Ne rabotaet, Non funziona, significa.
C’è comunque una fregatura, che l’unica soluzione, è essere buoni.
Nell’albergo dove sono, a Torino, c’è una specie di minuscolo depliant, di fianco al telefono, che c’è scritto, nella prima pagina, Come servirsi del telefono, che è una cosa che, trent’anni fa, secondo me, mio babbo, per esempio, l’avrebbe trovata offensiva.