Una cosa insensata

martedì 5 Settembre 2017

Tutte le volte che vedo un quaderno bianco che mi piace, mi sembra che, se lo comprassi, ci scriverei delle cose bellissime, su quel quaderno che ho visto, che sono cose che, se non comprassi quel quaderno lì, non le scriverei, mi sembra, tutte le volte che vedo un quaderno bianco (senza righe e senza quadretti) che mi piace.

Autocritiche

lunedì 4 Settembre 2017

Quando stavo scrivendo la seconda cosa che stavo scrivendo, nel 1996, che era un romanzo che poi si è intitolato Gli ultimi giri di Learco Ferrari e che non è mai stato pubblicato, siccome non ero sicuro, che fosse davvero un romanzo, io volevo scrivere un romanzo ma non ero sicuro di esser capace e quando mi chiedevano cosa stavo scrivendo io gli delle volte gli rispondevo Delle autocritiche.
Difatti per un po’ si era anche chiamato così, Autocritiche.
Non era un titolo bellissimo.

L’ora in anticipo

lunedì 4 Settembre 2017

C’è un libro dello scrittore ceco Bohumil Hrabal, che si intitola Treni strettamente sorvegliati, che si svolge quasi tutto in una piccola stazione ceca, e il cui protagonista è un ferroviere ceco che viene da una famiglia stranissima. Suo nonno, per dire, faceva l’ipnotizzatore e tutti, in città, pensavano che facesse questo mestiere perché non aveva voglia di lavorare. «Quando però i tedeschi in marzo passarono le nostre frontiere per occupare l’intero paese e avanzavano in direzione di Praga, – dice il protagonista, – soltanto il nonno andò loro incontro, soltanto il nonno andò ad opporsi ai tedeschi come ipnotizzatore, ad arrestare i carri armati in avanzata con la forza del pensiero. E così il nonno camminava sulla strada con gli occhi fissi sul primo carro che guidava l’avanguardia di quelle truppe motorizzate. E su quel carro, dentro la torretta fino alla vita, stava un soldato del Reich, in testa aveva il berretto nero col teschio e le tibie incrociate, e mio nonno continuava ad avanzare dritto verso quel carro, aveva le braccia distese e con gli occhi iniettava ai tedeschi il pensiero fate dietrofront e tornate indietro… e davvero, quel primo carro armato si fermò, tutto l’esercito restò fermo, il nonno con le dita toccava il carro armato e continuava a trasmettere lo stesso pensiero… fate dietrofront e tornate indietro, fate dietrofront, e poi il colonnello con la bandierina fece segnale e il carro armato partì, ma il nonno non si mosse e il carro lo investì, gli strappò la testa, e niente più impediva il passo all’esercito del Reich» (la traduzione è di Sergio Corduas). La piccola stazione dove lavorava l’io narrante di questo memorabile romanzo di Hrabal aveva la caratteristica di essere uguale a centinaia e centinaia di stazioni sparse per l’ex impero austroungarico; quando io ero piccolo, c’erano tre stazioni emiliane, in fila sulla via Emilia, la stazione di Parma, di Reggio Emilia e di Modena, che mi sembravano un po’ come le stazioni dell’impero austroungarico, erano tutte e tre uguali, come se l’Emilia fosse un piccolo impero austroungarico dove dappertutto succedevano più o meno le stesse cose. Anche la stazione di Piacenza, era più o meno uguale anche lei, solo che Piacenza è una città che a me sembra per conto suo, né Emilia né Lombardia, m sembra che non sia uguale a niente, come dice Giorgio Manganelli in un saggio memorabile che comincia così: «D’accordo, Piacenza non è Singapore; le differenze sono molte e non trascurabili», saggio che definisce Piacenza per quel che non è, intitolandosi, appunto, Piacenza non è Singapore.
Bene, di quelle tre stazioni, che solo vent’anni fa erano ancora tutte e tre uguali, l’unica a rimanere uguale, gialla, a un piano, piccola, con la sala d’attesa, è la stazione di Modena. Le stazione di Parma, oggi, è una stazione inutilmente costosa, su tre piani, è diventata una cosa deforme, che aspira a un’importanza che non ha (non si ferman neanche i treni ad alta velocità, a Parma); la stazione di Reggio Emilia è diventata una stazione di serie C, schiacciata dalla (costosissima) stazione ad alta velocità, che è la vera stazione importante, di Reggio Emilia, come una specie di cattedrale, ha detto una volta il suo (costosissimo) costruttore Santiago Calatrava che, per il fatto di aver costruito la stazione Alta Velocità di Reggio Emilia, pensa di essere un filantropo, un benefattore (l’ha detto lui, l’ho sentito io, che lo diceva).
A Modena invece, non han speso tanto per nessuna stazione, la stazione è rimasta la stessa, gialla, a un piano, con la sala d’attesa; a Modena, secondo me, hanno sempre avuto una relazione particolare coi soldi, come scrive Sebastiano Vassalli nel suo (memorabile) La notte della Chimera: «A Modena e in altre parti d’Italia, all’inizio del secolo, il vino si vendeva e si beveva “a ore”, in una sorta di epico confronto tra bevitore e oste che configurava un modello economico purtroppo abortito: oltre il liberismo, oltre il socialismo, la terza via dell’economia mondiale. Il bevitore entrava all’osteria, pagava “l’ora” in anticipo poi beveva per un’ora tutto il vino che gli entrava in corpo. Generalmente crollava (appena fuori le mura, a Modena, c’era un locale denominato “Sedia elettrica” per via dei molti che, seduti, non riuscivano più a rialzarsi da soli): ma capitava pure che fallissero gli osti».
Mi viene in mente che, qualche anno fa, un gruppo di architetti modenesi che volevano mettere degli striscioni su dei palazzi di una zona del centro che il comune voleva riqualificare, e avevano chiesto anche a me di scrivere una cosa su uno di questi striscioni, e io avevo dato un pezzo di un mio romanzo che si chiama Diavoli che faceva così: :«A Modena, i modenesi, tutti quelli che incontri parlano solo di soldi, meno che i miei amici scrittori che quelli son bravi. Te vai a Modena, la gente che la vedi in giro a due a due, o a tre a tre, o a quattro a quattro eccetera eccetera, sono sempre lì che discuton di soldi, contrattare, computare, confrontare, contestare. La gente che la vedi da sola, li vedi che sono lì pensierosi, interdetti, che nella loro testa son sempre dietro a pensare a dei problemi di soldi. Meno che i miei amici scrittori, che quelli pensano alle cose da scrivere, loro son bravi. Te vai a Modena, ti avvicini a uno di questi tutti interdetti, che capisci che nella sua testa è li che contratta, che computa, che confronta, contesta, Posso aiutarla, gli dici, posso darle un consiglio? Vedrai cosa ti risponde. Lo sai cosa ti risponde? Non darmi un consiglio, ti rispondono a Modena. Non darmi un consiglio, ti rispondono, dammi un milione. A Carpi, uguale».
E mi ricordo che poi, quando lo striscione era stato esposto, sulla Gazzetta di Modena era uscita una serie di articoli che si intitolavano «Un’offesa a tutti i modenesi»; «Fiacca ingiuria con pretesa letteraria»; «Uno striscione solo per far parlare»; «Che scivolone da qualunquisti»; «Dal muro pendono offese ai modenesi volute dal comune, e tanti applaudono»; «Lo striscione delle polemiche resterà»; «Un parmigiano (ero io, il parmigiano): i modenesi pensano solo ai soldi».
Alla fine mi aveva anche telefonato un giornalista, della Gazzetta di Modena, che la domanda principale che mi aveva fatto, la cosa che gli interessava di più, era quanto mi avevan pagato, per quello striscione lì. Che io, a me non mi avevan pagato niente, però a lui gli avevo detto «Non glielo dico».
Ma, a parte questo fatto dei soldi, la cosa più interessante, di Modena, per uno come me che è nato a Parma, e che da quindici anni abita a Bologna, è che Modena, che è più o meno in mezzo, tra Parma e Bologna, è proprio un posto diverso, esotico; i modenesi, per uno che sta a Parma sono un po’ come l’est europeo, come Brno, per uno che sta a Bologna sono un po’ come l’ovest, come Oporto, per dire. Una città, e una stazione, che restano sempre uguali, gialle, e con le sale d’attesa, ma, a seconda del posto da cui le guardi, cambiano faccia.

[uscito sabato sulla Verità]

Uno storico di Reggio Emilia

domenica 3 Settembre 2017

A Ligonchio, ieri, c’era uno storico di Reggio Emilia che mi avevano detto che diceva «Rubatemi pure le idee, tanto io ne ho delle altre», allora gli ho chiesto «Senti, ma è vero che sei tu quello che ha detto “Rubatemi pure le idee, tanto io ne ho delle altre”?», e lui mi ha detto che l’aveva detto lui ma l’aveva letto da una qualche parte, non si ricordava più dove.

Cose che succedono a Parma

venerdì 1 Settembre 2017

Stamattina, ero a Parma, dalle parti della stazione, all’ora di pranzo, dovevo pranzare, sono entrato in uno di quei posti che ci sono in stazione, c’erano dei panini già pronti e dei pezzi di pizza freddi che sembravano morti, sembrava che fossero lì da dei giorni, tutti morti e sudati, poverini, non ho avuto il coraggio, allora sono uscito, ho visto un bar che fuori c’era la foto di un toast, sono entrato, ho chiesto alla barista «Mi fa un toast?». E lei mi ha sorriso mi ha detto «Un toast? Quella che fa i toast non c’è, io non sono capace. Scusa», mi ha detto. È stato bellissimo.

Forse

mercoledì 30 Agosto 2017

Ma un cattolico praticante, che deve fare un pagamento online e che, alla fine, il computer gli dice che è obbligatori barrare la caselle Dichiaro di aver preso visione dell’informativa, cioè dichiarare di aver presto visione dell’informativa, uno così, che dichiari di aver preso visione dell’informativa senza aver preso visione dell’informativa, che è lunga magari sei pagine, come fanno magari gli atei o i cattolici non praticante, un cattolico praticante, che dichiari di aver preso visione dell’informativa senza aver preso visione dell’informativa, commette un peccato? E un cattolico molto molto praticante cosa fa, la legge? Perché, se la legge, mi piacerebbe conoscerlo, forse.

Qualche mese?

lunedì 28 Agosto 2017

Oggi ho comprato un giornale, il Resto del Carlino, e ci ho trovato due pagine, la 14 e la 15, dedicate a un’intervista a Pamela Prati, che dice, tra l’altro: «Io da tanti anni non sto con nessuno perché in giro non ci sono più veri uomini. E i migliori se li sono già presi. Quindi attendo fiduciosa».
Al giornalista che le chiede cosa intende per uomini veri lei risponde: «Innanzitutto un uomo che ti corteggia, ti faccia sentire donna. Io sono una donna d’altri tempi, ho bisogno di un corteggiamento anche lungo». «Qualche mese?», chiede il giornalista. «Anche di più», risponde lei.

Ieri mattina

lunedì 28 Agosto 2017

Ieri mattina, pochi minuti prima delle nove mi sono trovato davanti alla Coop Andrea Costa con i miei colleghi pensionati che aspettavamo che aprisse, la domenica apre la nove, dei bei momenti, bisogna dire.

Proprio tutto

domenica 27 Agosto 2017

Nell’andare in stazione, per andare a Firenze, ho incontrato tre persone con la maglietta dell’Hard Rock Cafè (di NewYork, di Praga, e di Lisbona), tutta gente appena tornata dalle ferie, ho pensato. E dopo, arrivato in stazione, ho visto un titolo del Vernacoliere: «Novità. Sagre e fiere. Grande festa dei becchi. Presenta: Matteo Sarvini», che era così stupido che mi ha fatto ridere. La volta precedente, che ero stato a Firenze, ci ero stato il 17 giugno, per la finale dei playoff di Lega Pro, Parma – Alessandria. Dovevo scendere alla stazione Campo di Marte, e non ero mai sceso, a Campo di Marte, e appena passato Firenze Castello, o Firenze Statuto, non mi ricordo di preciso, avevo pensato, “Ecco, mi sono perso”, perché mi sembrava che sarei dovuto scendere a Firenze Castello, o a Firenze Statuto, poi invece è arrivato Firenze Campo di Marte e mi è tornato in mente, «Devo scendere a Campo di Marte», e sono sceso, era proprio vicino alla stadio, il Parma ha poi anche vinto, è andato tutto bene son stato contento.
Che a Firenze ci son tante di quelle stazioni, c’è anche Firenze Rifredi e Firenze Leopolda, anche, a pensarci, non è difficilissimo sbagliare.
Una volta, ero a Roma, dovevo tornare a Bologna, ero arrivato a Roma Termini di corsa aveva preso il treno al volo, mi ero seduto, contento, nel mio posticino, mi ero messo a leggere, dopo un’ora e mezzo il treno si era fermato, «Bene», avevo pensato, «siamo a Firenze», poi era ripartito, dopo un’ora circa aveva rallentato per fermarsi ancora, io mi ero alzato per scendere avevo visto un cartello, fuori dal treno, Salerno, e mi ero detto, nella mia testa, «Cosa ci fa il cartello Salerno alla stazione di Bologna?»; mi ero avvicinato all’uscita, avevo visto un altro cartello: Salerno. «Ma pensa te, – avevo pensato, – non son neanche capaci di mettere i cartelli come si deve».
Il treno si era fermato, ero sceso, c’era un gran caldo, e è stato lì, sul marciapiede della stazione di Salerno, per via del caldo, che avevo capito che non ero a Bologna ero a Salerno. Dovevo aver preso il treno sbagliato.
Allora avevo telefonato a casa, avevo detto che sarei arrivato il giorno dopo ma non prestissimo, nel primo pomeriggio.
Invece l’altro giorno, a andare a Firenze, ho preso il treno giusto, e mi sono fermato nella stazione giusta, a Santa Maria Novella, e appena arrivato in stazione mi è venuto in mente di una volta che, con mia figlia, tornavamo dal mare, da Viareggio e, di solito cambiavamo a Prato, ma c’eran dei problemi sulla linea Prato – Bologna, quella volta avevamo cambiato a Firenze, avevamo aspettato il treno un’ora e mia figlia, aveva forse dieci anni, allora, si annoiava, io avevo appena letto un libro di Federico Baccomo che si intitolava Peep Show che dentro c’era un gioco, di trovare delle parole che, nel passaggio dal genere maschile al femminile, cambiavano significato, come porto / porta, o banco / banca, o posto / posta, o masso / massa, o mostro / mostra, avevamo cominciato a giocare eravamo andati avanti un’ora, e la prima cosa che mi è venuta da fare, l’altro giorno, appena arrivato a Firenze Santa Maria Novella, è stato cercare, nella mia testa, quei finti cambi di genere, costo / costa, messo / messa, arco / arca e così via. Continua a leggere »

Oggi poi

sabato 26 Agosto 2017

Oggi poi dopo ho mandato una lettera a Torino, e mi sono trovato davanti alla buca delle lettere che c’erano due buche, una Per la città, una Per tutte le altre destinazioni (la città era Bologna, ero a Bologna), e mi è tornato in mente quello che mi torna in mente tutte le volte che devo spedire una lettera, che è quello che è successo una volta a Matteo B. Bianchi, che, davanti a una buca delle lettere di Milano, ha sentito due ragazzi che dovevano mandare una lettera a Monza e uno ha detto all’altro «Per la città o per tutte le altre destinazioni?», e l’altro gli ha detto «Ma sei scemo? Per la città! Monza è una città, no? Per la città». E sarà stata la centocinquantesima volta, che mi veniva in mente questa cosa, davanti a una buca delle lettere.