Fortuna che non era niente di vetro

martedì 2 Gennaio 2018

E’ tutto il giorno che mi cadono delle cose di mano, fortuna che non sono mai di vetro. Anche prima, ero lì che pensavo a mio figlio e m’è caduto una matita. Per fortuna non era niente di vetro. Poteva essere l’orologio, anche se l’orologio delle volte può cadere sul cinturino. Io comunque di figli non ne ho. Ma pensavo: se avessi un figlio e fossi separato da mia moglie, che rapporto avrei con questo figlio? Sarei invidioso perché lui ha ancora l’affetto di una donna che io non ho più? Quando una fidanzata, o una moglie, ci lascia, vorremmo essere tutte le persone che hanno ancora a che fare con lei. Vorremmo essere loro anche se le disprezziamo. Casomai prima non le volevamo neanche vedere e adesso invece vorremmo sempre stare in loro compagnia perché è un po’ come stare in compagnia della donna che ci ha lasciato. Di lei naturalmente non si parla, ma la sua presenza è costantemente nell’aria. Sarebbe così anche con il figlio? Si starebbe in compagnia del figlio pensando a sua madre? Si farebbero domande indiscrete per sapere se frequenta qualcuno, mettendo in molto imbarazzo il figlio? Chi lo sa? Mio figlio, se avesse un figlio, io sarei suo nonno.

[Daniele Benati, Opere complete di Learco Pignagnoli, opera n. 72]

Un mistero d’oriente

martedì 19 Dicembre 2017

Un mistero che colpisce quando si è a Pietroburgo è che a volte ci sono delle zone di Pietroburgo che sembra di essere a Mosca. Questo è un fatto strano perché fra Mosca e Pietroburgo ci sono settecento chilometri.

[Daniele Benati, Paolo Nori, Baltica 9. Guida ai misteri d’oriente, Roma – Bari, Laterza 2008, p. 88]

280

lunedì 11 Settembre 2017

Opera numero 280

L’11 settembre del 2001 è un giorno che non mi scorderò mai più. Ho preso una multa di 650 mila lire.

Opera n. 97

martedì 25 Luglio 2017

Quando è uscito Sei città, qualche settimana fa, l’ho mandato a dei disegnatori che mi piacciono che volevo capire cos’avevo fatto, insieme a Timofej Kostin. Era la prima Graphic novel che facevo, insieme a Timofej Kostin, e non ero neanche sicuro che fosse una Graphic nove, allora l’ho mandato a Leo Ortolani, a Gipi, a Fior, a Sio e gli ho detto che se mi dicevano come gli sembrava ero molto curioso.
È passato un mese, mi ha risposto solo Leo Ortolani che mi ha detto che, secondo lui, non è una Graphic novel che però non ha avuto ancora tempo di leggerla tutta e poi è andato in vacanza e l’ha lasciato a casa se riesce lo legge in settembre quando torna dalle vacanze. Ecco. Mi è tornata in mente l’opera n.97 delle Opere complete di Learco Pignagnoli, che fa così:

Opera n. 97
Una volta ho scritto un libro, pubblicato, che ho spedito a diversi critici per farlo recensire e nessuno ci ha poi scritto neanche una mezza riga su nessun giornale. Dopo l’ho spedito a gente che conoscevo e vigliacca una volta se m’han detto qualcosa al riguardo, spariti tutti dalla circolazione. Anche una signora di La Spezia, che dirige il cosiddetto Parco Montale, si era raccomandata che le mandassi il mio libro perché lo voleva assolutamente leggere, vigliacco se m’ha scritto una mezza cartolina per dirmi che l’aveva ricevuto. Sparita anche lei dalla circolazione. Così, qualche tempo dopo, c’eran delle persone che mi venivano a cercare a tutte le ore del giorno che io non potevo compatire, gli ho detto: venite qua, che ci ho un libro da darvi.

Il rabdomante

venerdì 10 Marzo 2017

Brian Friel, Tutto in ordine e al suo posto

Il rabdomante era un uomo alto, tendente alla pinguedine, e vestito di nero, come Nelly e il parroco. Portava in testa un cappello floscio, nero e bisunto, che pendeva un po’ da un lato, e sotto il braccio teneva un pacchetto sottile, avvolto in una carta di giornale. La prima impressione fu: Che persona distinta.
Ma quando comparve alla luce dei fanali di un’auto, si videro in lui segni di deterioramento: occhi scoloriti e sfuggenti, dita ingiallite dalla nicotina, calzoni male assortiti con la giacca, scarpe screpolate sulla punta, guance segnate da un sorriso sempre pronto. Parlava con l’accento cadenzato e melodioso della costa dell’Ovest.
McElwee e l’apprendista di McLaughlin, muovendosi intorno al rabdomante come due accoliti smaniosi, lo condussero all’auto di padre Curran. Il rabdomante aprì la portiera, si tolse il cappello e fece un inchino a Nelly e al parroco. Aveva un riporto di capelli tirato accuratamente da una parte per coprire la calvizie. «Io sono il rabdomante» disse con modesta semplicità.
Padre Curran si piegò dalla parte di Nelly per guardarlo più da vicino.
«Come vi chiamate? Chi è il parroco del vostro paese?»
Il rabdomante ignorò le domande e si rivolse a Nelly: «Avrò bisogno di una cosa che apparteneva a vostro marito, qualcosa che sia stato a contatto con la sua persona: una cravatta, un fazzoletto, un…»

[Brian Friel, Tutto in ordine e al suo posto, traduzione e cura di Daniele Benati, Milano, Marcos y Marcos 2017, p. 21]

Dove sono andati a finire

martedì 7 Febbraio 2017

Benati Cani dell'inferno

Ma non avevo ancora fatto due passi che ho sentito qualcuno che mi chiamava Ehi Joe! Io mi son voltato anche se quello non era il mio nome e ho visto che dall’altra parte della strada c’era un tipo imbacuccato in un passamontagna che ha cominciato a dire: E tutti quelli là dove sono andati a finire? Cosa fanno adesso? Poi è stato zitto come per aspettare una risposta che evidentemente pretendeva da me, dato che c’ero solo io in quel punto della strada. Dove sono andati a finire tutti quelli là? ha continuato a dire con un tono di voce da cui ora trapelava anche un filo di sarcasmo. Stavolta aveva puntato il braccio verso di me e pareva richiedere una risposta veloce perché non aveva tempo da perdere. Dici a me? gli ho detto. Un po’ mi faceva paura con quel passamontagna che lo rendeva simile a un rapinatore. Dico a te, dico a te, dove sono andati a finire tutti quelli là? Quelli là chi? gli ho detto. Dai che lo sai… tutti quelli là, quand’eri giovane, ti ricordi? dove sono andati a finire adesso? Ma chi? gli ho tornato a chiedere, tu m’hai preso per un altro. Dentro di me però avevo già cominciato a pensare che doveva essere uno squilibrato. Poi s’è tolto il passamontagna e ha detto: Non ti ricordi di me? Io l’ho guardato e non mi ricordavo. E intanto s’era messo a attraversar la strada. Non mi dice niente la tua faccia gli ho detto. E lui: Ma come! Non ti ricordi quando sei venuto a vedere gli scavi del tunnel che c’era un operaio seduto su una tubatura col casco in testa? Non mi ricordo, gli ho detto, che scavi? E lui: Non ti che c’era un operaio seduto su una tubatura che t’ha mandato via? Non mi ricordo. Doveva avermi preso per un altro e gliel’ho tornato a dire ma lui continuava a insistere: Eri venuto a vedere gli scavi del tunnel e un operaio ti voleva spaccar la testa, non ti ricordi? Un operaio seduto su una tubatura. Un operaio che mi voleva spaccar la testa? Non mi risulta. Intanto mi era venuto vicino e sentivo che puzzava di vodka. Il troppo bere lo aveva fatto diventar strabico e quando ha riaperto la bocca mi sembrava che stesse parlando con un altro. E allora dove sono andati a finire tutti quelli là? a tornato a dire, dove sono andati a finire tutti quei filosofi e quei poeti di tanti anni fa?

[Daniele Benati, Cani dell’inferno, Milano, Feltrinelli, pp. 84-85]

Al Multiplo

sabato 3 Dicembre 2016

Ieri sera, con Daniele Benati, sono andato a sentire Daniele Brolli che parlava dei libri della sua vita a Cavriago, in una biblioteca molto bella che si chiama multiplo, e all’inizio Brolli ha detto che lui ha cominciato a leggere i fumetti della Disney e che una cosa che gli piaceva, dei fumetti della Disney, che non avevano un autore, che sembrava che si fossero fatti da soli, e che quando poi ha cominciato a leggere i libri, le foto degli autori che c’erano nelle quarte di copertina gli erano sembrate stranissime e, in quel momento, è suonato un cellulare e era quello di Daniele Benati che, intanto che lo cercava e lo spegneva diceva «Non mi chiama mai nessuno».

C’è da spararsi

venerdì 28 Ottobre 2016

Ieri, alla terza lezione della scuola elementare di scrittura emiliana e letteratura russa, si è parlato dell’uomo ideale e della donna ideale e a me son venute in mente le opere numero 202, 203 e 204 delle Opere complete di Learco Pignagnoli, quelle che fanno così:

Opera n. 202
Ognuno di noi, nella città dove è nato, ha avuto due o tre morose. Alcuni ne hanno avute dieci o quindici, ma altri solo una o due. E dunque, facendo una media, si può dire che ognuno di noi ha avuto due o tre morose, oppure quattro o cinque, facendo i conti attentamente. Il che vuol dire che se uno fosse nato in un’altra città avrebbe avuto quattro o cinque morose in quest’altra città. Ce le avrebbe avute dappertutto, in qualunque città. In qualche città ne avrebbe avute tre e in qualcun’altra cinque, non importa. Quello he importa è che tutte queste morose, tutte queste donne, esistono. Non sono mai state sue morose, anzi tutte queste donne hanno avuto altri morosi, e di lui, di questo qua che sarebbe stato il loro moroso se fosse nato nella loro città, non sanno niente, non sanno neanche che esiste. E invece c’è. Così come ci sono loro per lui. Se uno fosse nato a Catania invece che a Trento, avrebbe avuto una morosa di Catania – c’è esiste, è lì in carne e ossa e c’è. Lui non sa chi è e non potrà mai saperlo, ma c’è. Così come la donna di Catania non potrà mai sapere che il suo moroso sarebbe stato lui, se questo lui fosse stato dato il privilegio di nascere in quella città, ossia Catania.

Opera n. 203
E così, di questo passo, noi possiamo dire di avere avuto quattro o cinque morose in ogni città d’Italia. Non solo, se il ragionamento regge, possiamo dire di avere quattro o cinque morose anche in ogni città d’Europa. E se rete questo, allora di averle avute anche in ogni città del mondo, compresa New York. Cioè uno, potenzialmente, potrebbe vantarsi di aver avuto delle morose in ogni città del mondo, se solo ci fosse stato. Invece s’è tirato delle seghe e basta.

Opera n. 204
Perché infatti, qual è il problema di questo ragionamento? Il problema è quando uno, nella sua città natale, di morose non he ha avute neanche una e s’è tirato delle seghe e basta. Cosa succede allora? Deve pensare che in qualunque altra città non ne avrebbe avuta neanche una dall’inizio dei tempi, di tutta l’eternità? C’è da spararsi. Però, a ben guardare, se non ne ha avuta neanche una nella sua città natale, è difficile che avrebbe potuto averne una nella città vicina. Questo può sembrare triste.

Eccomi

giovedì 22 Settembre 2016

Safran Foer, Eccomi

Ho finito di leggere Eccomi, di Foer, in un viaggio aereo verso Cagliari, e quando stavo partendo ho pensato che i due libri più lunghi che ho letto quest’anno sono due libri americani, Purity di Jonathan Franzen (l’ho letto nella traduzione di Silvia Pareschi) e Eccomi, di Jonathan Safran Foer (nella traduzione di Irene Abigail Piccinini).
Quando stavo leggendo Purity, nel marzo scorso, arrivato a pagina cento mi ero accorto che nelle prime cento pagine c’erano un po’ di ragazzi bellissimi e diverse ragazze bellissime e avevo pensato che sarebbe stato bene metterlo in copertina, il numero di ragazzi e di ragazze bellissime che si trovano dentro ai libri, come la nicotina nelle sigarette.
E adesso, in questo settembre, intanto che leggevo Eccomi, ho avuto l’impressione che ci fosse un eccesso di intelligenze infantili, troppi bambini intelligentissimi, da mettere in copertina anche quelli («Attenzione: in questo romanzo ci sono perlomeno tre bambini intelligentissimi più uno un po’ stupido ma così carino che sembra ancora più intelligente degli altri»). Continua a leggere »

Opera numero 135

martedì 9 Febbraio 2016

pignagnoli

Opera numero 135.

Elton John, a guardarlo di profilo, quando è seduto al piano, e ha la giacca stretta, sembra un sacco di merda.