Biscotti

martedì 9 Luglio 2019

Sotto la guida della nonna, tuttavia, fin verso i sei anni fui una persona religiosa. Lei mi portava alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, mi faceva fare la comunione, mi metteva davanti alle icone, mi prendeva la mano nella sua mano marrone, tutta rughe, mi insegnava a fare il segno della croce e a pronunciare parole magiche che, secondo me, neppure lei capiva. Perché così suonavano, e così le ho imparate per tutte la vita:
«Patenoste, chiesa in cieli, santa luce nome tuo. Avvegna regno tuo. Sì, che è in cieli. E in terra. Pane nostro quotidiano dà, no, biscotti. Non dimette i debiti nostri se non ci libera dal male…»

[Anatolij Kuznecov, Babij Jar, traduzione di Emanuela Guercetti, Milano, Adelphi 2019, p. 55]

Una storia possibile solo in Unione Sovietica

sabato 6 Luglio 2019

All’epoca avevo già un contratto per pubblicare il romanzo in volume – con la casa editrice Malaja Gvvardija. Mi restava ancora la speranza di ripristinare qualcosa: il libro «completo» doveva pur differenziarsi in qualche modo dalla «versione giornalistica» [pubblicata sulla rivista «Junost’»].
Ma fu subito chiaro che la casa editrice non voleva sentir parlare di aggiunte: al contrario, esigeva ulteriori tagli. E qui ebbe inizio una storia possibile solo in Unione Sovietica.
Quei numeri della rivista «Junost’» arrivarono all’estero. E subito in molti paesi si cominciò a tradurre il romanzo. Fui subissato dalle lettere perplesse dei traduttori: non capivano molti brani.
Per esempio, la censura aveva tagliato così sconsideratamente che nel capitolo «Professione: incendiari» gli incendiari non c’erano più, neanche un accenno, la parola stessa non compariva ed erano stati lasciati solo alcuni paragrafi sul protagonista che leggeva Puškin.

[Anatolij Kuznecov, Babij Jar, traduzione di Emanuela Guercetti, Milano, Adelphi 2019, p. 18]

La bufera

lunedì 1 Luglio 2019

auden, shorts

Quando li assale la bufera,
gli alberi sono sempre stupefatti,
ma non chiedon mai perché.

[W. H. Auden, Shorts, Milano, Adelphi 2009 (4), p. 65]

Se invece

venerdì 7 Giugno 2019

Non voglio farmi più intelligente di quanto sono: dico solo quello che penso. È vana tutta la nostra finezza e lungimiranza politica. Se, invece di provare a fare la storia, provassimo semplicemente a considerarci responsabili dei singoli atti che la compongono, forse gli esiti non sarebbero così grotteschi. Non la storia bisogna fare, ma la propria biografia.

[Viktor Šklovskij, Viaggio sentimentale, traduzione di Mario Caramitti, Milano, Adelphi 2019, p. 132]

Amicizie importanti

giovedì 23 Maggio 2019

Iosif Brodskij, Per compiacere un'ombra, in Fuga da Bisanzio

Uno scrittore che accenna ai propri trascorsi penali – o in generale alle proprie traversie – è paragonabile a un individuo normale che si fa bello alludendo ad amicizie importanti.

[Iosif Brodskij, Per compiacere un’ombra, in Fuga da Bisanzio, traduzione di Gilberto Forti, Milano, Adelphi 2008 (8), p. 109]

Ormai da una cinquantina d’anni

giovedì 11 Aprile 2019

Una volta, molto tempo fa, lessi su un settimanale un saggio che si intitolava Tre incontri con Lev Tolstoj. Il primo incontro: l’autore arriva a Jasnaja Poljana, ma Tolstoj è ammalato e non lo riceve. Il secondo incontro: arriva a Chamovniki e lo informano che Tolstoj non è in casa. Il terzo incontro: arriva a Astapovo e Tolstoj è appena morto… Di Tolstoj non appresi nulla, ma quanto imparai sull’autore! Non l’ho mai dimenticato.
In occidente, ormai da una cinquantina d’anni, quasi tutti i libri sono autobiografici. Talvolta sembra che persino i libri di matematica e astrofisica siano stati scritti dai loro autori in parte anche come autobiografie.

[Nina Berberova, Il corsivo è mio, traduzione di Patrizia Deotto, Milano, Adelphi 2002 (4), p.6]

Sergej Esenin

martedì 19 Febbraio 2019

Tra gli ospiti c’era la poetessa K. La donna piacque a Esenin. Cominciò a farle la corte. Per pavoneggiarsi le propose con semplicità: «Volete vedere una fucilazione? Posso organizzare tutto in un minuto tramite Bljumkin».

[Vladislav F. Chodasevič, Esenin, in Necropoli, a cura di Nilo Pucci, Milano, Adelphi 1985, p. 170]

O

giovedì 31 Gennaio 2019

O mirabile noncuranza dei pratesi, che non si meravigliano né si arrabbiano né si scandalizzano di nulla, e della grandezza umana, della superbia degli uomini, ridono, perché sanno di che son fatte. O semplicità dei pratesi, che sanno d’esser nati dal nulla, ma non fanno come tanti altri, che anche quando vanno a piedi sembra che vadano in carrozza, e quando camminano fan suonare i dindi nelle tasche, per far vedere che son gente per bene, e che i soldi per pagarsi la reputazione ce li hanno. O lealtà dei pratesi, che non si vergognano d’esser nati poveri, (e a dire il vero non si vergognano nemmeno d’esser diventati ricchi), e non si dànno le arie d’esser figli di nobili e di preti, come’è d’uso in certe parti d’Italia, e restano gente del popolo anche quando vanno in carrozza, che per loro è soltanto un modo di andare a piedi stando seduti, e nel mangiare, nel bere, nel vestire, nel prender moglie, rimangono fedeli alla loro origine popolare, e sono esempio di semplicità e di lealtà in un mondo, dove tutti cercano di nascondere quel che sono, e che erano, e di dànno l’aria d’essere il contrario di quel che sembrano.

[Curzio Malaparte, Maledetti toscani, Milano, Adelphi 2017, p. 103]

Prima di costruirsi una torre d’avorio

venerdì 4 Gennaio 2019

Ma prima di costruirsi una torre d’avorio bisogna prendersi l’inevitabile seccatura di uccidere un bel po’ di elefanti, e si dà il caso che il bell’esemplare che desidero abbattere […] si chiami senso comune. […] Il senso comune è immorale, perché la morale naturale dell’uomo è irrazionale, quanto i riti magici che essa ha sviluppato fin dall’oscurità immemorabile dei tempi. Nella sua forma peggiore, il senso comune è senso reso comune, cosicché le cose sono confortevolmente svalutate dal suo tocco. IL senso comune è squadrato, mentre tutte le visioni e i valori più essenziali della vita sono rotondi, come l’universo o gli occhi di un bambino la prima volta che vede uno spettacolo circense.

[Vladimir Nabokov, Lezioni di letteratura, traduzione di Franca Pece, Milano, Adelphi 2018, pp. 508-509 ]

Il giallo e il violetto

martedì 6 Novembre 2018

Vladimir Nabokov, Nikolaj Gogol'

La differenza tra la visione umana e l’immagine percepita dall’occhio sfaccettato di un insetto può essere paragonata alla differenza tra un cliché a mezzatinta ottenuto con il retino più fine e la medesima immagine realizzata con la schermatura a grana grossa, quella che si usa nella riproduzione illustrata dei comuni giornali. La stessa relazione esiste tra il modo in cui vedeva le cose Gogol’ e il modo in cui vedono le cose i lettori ordinari e gli scrittori ordinari. Prima dell’avvento suo e di Puškin, la letteratura russa era praticamente cieca. La forma che percepiva era un profilo guidato dalla ragione: non vedeva il colore in sé, ma semplicemente usava le trite combinazioni di sostantivi ciechi e aggettivi fedeli come cani che l’Europa aveva ereditato dagli antichi. Il cielo era azzurro, l’alba rossa, il fogliame verde, gli occhi della bellezza neri, le nuvole grigie e così via. Fu Gogol’ (e, dopo di lui, Lermontov e Tolstoj) a vedere per primo che esistevano il giallo e il violetto. Che il cielo potesse essere verde pallido al sorgere del sole, o la neve di un azzurro intenso in un giorno sgombro di nuvole, sarebbe suonato come una sciocca eresia allo scrittore cosiddetto «classico», abituato com’era ai rigidi e convenzionali schemi coloristici della scuola letteraria francese del secolo XVIII.

[Vladimir Nabokov, Nikolaj Gogol’, a cura di Cinzia De Lotto e Susanna Zinato, Milano, Adelphi 2014, pp. 86-87]