Alla procura generale di Trieste

lunedì 14 Agosto 2017

Fu in quei giorni che il pretore Merdicchione venne chiamato alla procura generale di Trieste.
Partì alle sei della mattina accompagnato dall’ufficiale giudiziario Bolognini in automobile e tornò al pomeriggio. Quando, guardando dalla finestra, lo vidi entrare dal cancello seguito dal Bolognini, andai di sopra per sentire le novità.
Merdicchione, Bolognini e Semitecolo erano nello stanzino del poker, seduti al tavolo. Il pretore aveva appena incominciato a raccontare:
«Alle nove in punto un usciere m’introdusse nell’ufficio di Sua Eccellenza Mordace, che mi fece sedere, mi guardò come si guarda uno strano animale poi, a bruciapelo, mi disse: “Un magistrato, in questi posti e direi in qualunque luogo d’Italia, non può avere un cognome come il suo, tanto più quando esiste la possibilità di modificarlo. La Corte d’Appello, a sua domanda, in qualche settimana può ordinarne la modifica, disponendo l’annotazione del provvedimento sui registri dello Stato Civile. Chiunque ha diritto di mutare il proprio cognome quando sia tale da esporlo al ridicolo e allo scherno. Le è in questo caso e spero che se ne renda conto”
«”Eccellenza” osservai “quando ho partecipato al concorso nessuno mi ha detto che col mio cognome non avrei potuto fare il magistrato.”
«”Ma glielo dico io!” proruppe Mordace “e ho l’autorità per dirglielo” Lei può scegliere un cognome che differisca il meno possibile dal suo: Mordicchione, per esempio. Oppure Murdicchione, Ferdicchione, Perdicchione, Serdicchione, Verdicchione, Zerdicchione. Tutto, ma non Merdicchione. Lei non può mandare in giro sentenze e decreti che vanno fra il pubblico con sotto quel cognome!”
«Mi sentivo umiliato, distrutto.»
«Allora» lo interruppe Semitecolo «ha accettato la proposta?»
«Neanche per idea!» esclamò il pretore. «Mi è venuto, improvvisamente, un coraggio da leone. Tanto che gli ho detto, pacatamente: “Eccellenza, nella mia famiglia abbiamo avuto nel secolo scorso un generale dell’esercito borbonico e quarant’anni fa un monsignore di Santa Romana Chiesa. Nessuno, né il re di Napoli né il papa, si è mai sognato di indurli a mutare cognome. E io non posso, semplice pretore come sono, portare un simile disdoro alla mia famiglia, che è degna del più grande rispetto. Ho parenti ingegneri, medici, insegnanti, che si onorano di questo casato. Come potrei, tornando in Puglia, a casa mia, presentarmi a mio padre, che è giunto alla veneranda età di ottant’anni, ai miei fratelli, agli zii, ai cugini, agli stessi miei concittadini? Dovrei dire ai miei parenti: non appartengo più se non per sangue alla vostra schiatta, perché mentre voi restate Merdicchioni io sono diventato Mordicchione, oppure Verdicchione. Mi chieda qualunque cosa, Eccellenza, mi faccia trasferire in Puglia, o anche in Calabria, in Sardegna, ma consenta che resti Merdicchione. Merdicchione sono nato e Merdicchione voglio morire!”»
«Bravo!» approvò Semitecolo.

[Piero Chiara, Vedrò Singapore?, Milano, Mondadori 2014, pp. 62-65]