Perché parla male di me

giovedì 10 Settembre 2015

Come succede sempre in questi ultimi anni, anche quest’anno sto per andare al Festivaletteratura di Mantova che c’è, quest’anno, da mercoledì 9 a domenica 13 settembre, e come succede sempre, in questo periodo, ho guardato il programma e mi son chiesto, a parte le cose che farò io, cosa andrò a vedere, e mi son detto che mi piacerebbe capire cos’è Una città di libri, la mostra dedicata a San Pietroburgo che sarà aperta per tutta la durata del festival alla tenda di piazza Sordello; mi sembra che questa mostra sia fatta apposta per me, perché fra qualche mese io dovrò fare, per il circolo dei lettori di Torino, la guida per un gruppo di visitatori coi quali saremo, nel giugno del 2016, a San Pietroburgo, e proverò a raccontare San Pietroburgo attraverso i suoi scrittori: Puškin, Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj, l’Achmatova, Esenin, Charms, Šklovskij, Brodskij, e mi è tornata in mente quella poesia di Mandel’štam che dice «A Pietroburgo ci incontreremo ancora, / come se ci avessimo seppellito il sole», e quell’altra, sempre di Mandel’štam, «Son tornato nella mia città, che conosco fino alla lacrime, / fino alle vene, alle ghiandole gonfie di un bambino», mi son ricordato, e ho pensato a com’è bravo, Mandel’štam.
E mercoledì 9, alla sera, andrò al conservatorio a fare, insieme a Carlo Boccadoro, la lettura integrale della Morte di Ivan Il’ič, di Lev Tolstoj, che dura più di due ore e che, l’altra volta che l’abbiam fatto, un paio di anni fa, al circolo dei lettori di Torino (io frequento tre posti, in Italia, il Festivaletteratura di Mantova, il circolo dei lettori di Torino e una libreria di Bologna che si chiama Modoinfoshop), c’eran trecento persone, a sentirci, e alla fine piangevamo tutti.
E giovedì mattina, alle 10, andrò forse in piazza Erbe, al pronto soccorso corsivo, dove si parla della scrittura dal cuneiforme al digitale, che è una cosa che mi interessa perché, è un po’ di tempo che ci penso, secondo me scrivere, nel senso di tracciare dei segni, è una cosa bellissima.
E poi giovedì, alle 11, all’aula Magna Isabella d’Este, leggerò dagli ultimi due libri che ho pubblicato, che si chiamano La bambina fulminante e La piccola Battaglia portatile, e Vanna Vinci, l’autrice della Bambina filosofica, intanto che io leggo, lei disegna, e questa è una cosa che non abbiam mai fatto e son curioso di veder cosa succede.
Poi alla sera, se riesco, andrò a vedere Paolo Poli che, al teatro sociale, legge l’Artusi, ma ho il dubbio di non riuscire a trovar posto, e se per caso non riesco a trovar posto vado a sentire Giordano Montecchi, che in Piazza Mantegna, alle lavagne, legge una cosa che si intitola «Chi è Frank Zappa e perché parla male di me», che io, non è che ne sappia tanto, di Frank Zappa, ma mi piace il titolo.
Dopo, alla sera di venerdì, alle 22 e 30, in piazza Leon Battista Alberti, c’è Zerocalcare che parla coi volontari del festival, e io non credo che ci andrò, perché ci sarà tanta gente, ma se non avessi paura che ci fosse tanta gente magari ci andrei.
Dopo, sabato e domenica sono i due giorni più complicati, per me, perché il festival si riempie, e diventa un po’ una bolgia, e a me piacciono i festival un po’ meno pieno pieni, un po’ meno bolge, come il Festivaletteratura di Mantova i primi tre giorni, però qualcosa andrò a vedere anche sabato e domenica, per esempio l’incontro di sabato mattina con Kari Hotakainen, che lo presento io, che è uno scrittore, Hotakainen, di cui ho parlato nel primo pezzo che ho pubblicato su Libero, nel 2009, sei anni fa, e a Mantova parleremo del suo ultimo romanzo, appena uscito per Iperborea (traduzione di Nicola Rainò), che si intitola La legge di natura e che parla dell’uomo («L’uomo è qualcosa di immenso, contiene così tanti ingredienti, come lo stufato. Per esempio l’alloro. Ce lo metti, ma poi mica te lo mangi quando lo stufato è pronto, eppure non può mancare. Lo stesso accade con l’uomo, ha dentro il male, e per quanto non lo usi spesso, ce lo deve avere») e del matrimonio («Väinö e Kerttu stavano insieme da mille anni. Non avevano mai preso in considerazione l’idea di separarsi, ma di uccidere il coniuge sì. Un incensurato al suo primo delitto può cavarsela con una condanna di pochi anni, anche se poi, una volta tornato a casa, si ritrova solo. Il lato triste dell’omicidio»).
E dopo credo che farò quello che faccio tutti gli anni, a Mantova, cioè andrò lì, a Mantova, comincerò a girare, e vedrò cosa succede (c’è anche Tzvetan Todorov, quest’anno, che una volta ha scritto «Capite, il filosofo non deve essere nessuno, perché se diventa qualcuno comincia a adattare la propria filosofia al posto che ricopre»).

[Uscito ieri su Libero]